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Studi sul Settecento e l’Ottocento | 2022 | N. 17
Anno 2022 – 17 – N. 17
A cura di Clara Cardolini Rizzo
Titolo articolo: Il verismo dei significanti. Note sull’assetto fonico dei “Malavoglia”
Molti critici letterari – rileva fin dall’incipit l’A. – hanno creduto in passato che la sintassi dell’indiretto libero verghiano fosse sicilianeggiante. Per primo – prosegue la studiosa – il prof. Giovanni Nencioni mostrò che così non era e che la rivoluzione linguistica di Verga consisteva nell’avere immesso, tramite l’indiretto libero, il parlato nella prosa di un romanzo. Doveva tuttavia esservi una ragione per cui tanti e autorevoli studiosi – continua la Riccobono – avevano avvertito una patina sicilianeggiante nei “Malavoglia”. Il presente studio cerca di definire in che cosa consista precisamente tale patina, da Verga impressa alla lingua toscana del suo romanzo. Il segreto della prosa d’arte dei “Malavoglia” non risiede solo – secondo l’A. – nell’immissione della lingua del parlato nell’indiretto libero corale e in quello individuale; risiede anche nel fatto che questa prosa mima, nel sistema dei puri significanti, i suoni dei dialetti della regione di cui Verga è originario e nella quale il romanzo è ambientato.
Lingua: ItalianoPag. 11-25
Etichette: Fonetica, Fonologia, Linguistica, Stile, Verismo, XIX secolo, Giovanni Verga, I Malavoglia,
Titolo articolo: L’ironia generativa in Giovanni Verga. Per una tipologia
Nel saggio l’A. si sofferma sull’ironia come elemento strutturante, sull”ironia generativa’ in Verga, sia come micro-unità (in segmenti del testo) sia come macro-unità (generativa di altri elementi primari disposti dicotomicamente), un’ironia ‘dialogica’ che, a Suo avviso, viene ‘co-creata’ e anticipa i percorsi che saranno tipici delle modalità espressive degli autori siciliani del primo Novecento. L’analisi è incentrata su un’opera atipica di Verga, “Le storie del castello di Trezza”, che si differenzia – secondo Musarra – sia da quelle della fase fiorentino / milanese sia da quelle veriste. Vi sono – rileva lo studioso – una pluralità di voci narranti e numerose aperture che il lettore può chiudere a suo piacimento. Nel contributo l’A. si propone di dimostrare che Verga non è un imitatore immaturo, ma che vi decostruisce ironicamente gli assi portanti della sua narrativa precedente e anticipa la nuova.
Lingua: ItalianoPag. 27-38
Etichette: Ironia, Modernità, Realismo, Verismo, XIX secolo, Giovanni Verga,
Titolo articolo: Verga e il cinema
È noto – segnala la Guzzetta – il giudizio negativo del Verga sul cinema che egli giudicava ‘grossolano’, ciò che ha spinto i suoi critici a ritenere lo scrittore incapace di adeguarsi a questo nuovo strumento della modernità e a comprenderne il valore. In realtà, a ben leggere – evidenzia la studiosa -, l’opera narrativa rivela una grande sensibilità dello scrittore nei confronti dell’immagine che influenza fortemente l’organizzazione tecnica della scrittura. Questa diventa infatti via via più ‘visiva’ – secondo l’A. – utilizzando metodologie di ripresa della realtà mediante primi e primissimi piani, sequenze al rallentatore, flash-back, zoommate sui dettagli, e soprattutto la registrazione della gestualità come linguaggio supplementare che dà alla pagina verghiana una forte dimensione iconica. Tali materiali – a detta della studiosa – prefigurano il cinema, costruito con una raffinatezza che però non era caratteristica agli esordi e che, dunque, non poteva che lasciare Verga totalmente perplesso se non addirittura scandalizzato. La pagina verghiana ricca di sonorità e di visività postula – secondo la Guzzetta – un cinema molto più raffinato come poi è avvenuto nell’evoluzione del linguaggio cinematografico di oggi. È possibile concludere – a detta dell’A. – che il grande fotografo Verga aveva in un certo senso il diritto di non apprezzare il cinema del suo tempo.
Lingua: ItalianoPag. 39-50
Etichette: Cinema, Gestualità, Scrittura, XIX secolo, Giovanni Verga,
Titolo articolo: Un Flaubert, Dickens o Tolstoj italiano? Il potenziale transculturale e transmediale dell’opera di Giovanni Verga
Nel contributo si esamina il potenziale transculturale che i testi di Giovanni Verga emanano in Italia e in Europa ancora oggi in una marcata ottica meridionale. L’opera del Verga – secondo l’A. – ha esercitato una grande forza vitale sia su diversi musicisti e registi di teatro e cinema sia sulla tradizione letteraria italiana, assegnando al suo autore un posto singolare nel canone del Realismo e Naturalismo europeo e della Weltliteratur. Riflettendosi il suo impatto internazionale non solo nel cinema e nella pellicola viscontiana “La terra trema” (1948), ma anche nella ricezione musicale della novella “Cavalleria rusticana” (1880), il pensiero e la poetica verista del Verga – evidenzia Reichardt – permangono finora insuperati attraverso il Neorealismo, sconfinando in un ‘nuovo Realismo’ postmoderno e riecheggiando nell’estetica iperrealistica contemporanea.
Lingua: ItalianoPag. 51-60
Etichette: Naturalismo, Neorealismo, Realismo, Verismo, XIX secolo, Giovanni Verga, Transmedialità, Weltliteratur,
Titolo articolo: Pavese lettore di Verga
Un profilo della ricezione di Verga in Pavese. Muovendo da una preliminare recensione delle presenze dell’autore siciliano tra gli scritti e nella bibliografia critica del langarolo, si conducono mirati affondi testuali. Importanti tangenze tematiche sembrano costituire premessa e motivo dell’affioramento di lemmi comuni nelle verticali semantiche delle opere principali, tra autografi e stampa. Attraverso un’esplorazione del concetto di autorialità, l’indagine acquista un’ulteriore dimensione. Tali dati, intrecciati con i più recenti orientamenti della critica, mostrano – secondo l’A. – la modernità della lettura di Verga da parte di Pavese, la traccia sommessa ma ferma di un dialogo non estemporaneo.
Lingua: ItalianoPag. 61-71
Etichette: Critica letteraria, Filologia, Naturalismo, Verismo, XIX secolo, XX secolo, Cesare Pavese, Giovanni Verga,
Titolo articolo: Il Verga di Pomilio
Secondo l’A., si può guardare a Mario Pomilio per mettere a fuoco le ragioni e le modalità del recupero della lezione dello scrittore catanese nella letteratura e nel paesaggio culturale italiano del secondo Novecento. L’incontro con l’autore dei “Malavoglia” nel 1940, per il critico abruzzese, è l’occasione – rileva Palazzolo – per soffrire l”urto delle cose’, per ragionare sul realismo e sulla questione meridionale. Successivamente, negli anni Sessanta, la riflessione accademica su Verga, e quindi sul naturalismo e sul verismo, consente a Pomilio – prosegue lo studioso – di superare le secche in cui il neorealismo si stava illanguidendo e di sfuggire al gorgo della Neoavanguardia, di reagire alla crisi e al ‘dissesto’, e di rinnovare una ritrovata maniera narrativa.
Lingua: ItalianoPag. 73-85
Etichette: Naturalismo, Romanzo, Verismo, XIX secolo, Giovanni Verga, Luigi Capuana, Mario Pomilio,
Titolo articolo: Quattro illustrazioni dei “Promessi sposi”
Un contributo essenziale alla comprensione d’un libro illustrato come la “Quarantana” viene certamente – secondo Cannavò – dalle vignette che ne integrano il testo. Nel saggio si prendono in esame le ultime due illustrazioni del XIX capitolo e le prime due del XX, che occupano esattamente la mezzeria del Romanzo, formato da trentotto capitoli. In una tale posizione centrale, di per sé narrativamente strategica, queste quattro immagini (analizzate anche nei loro rapporti con altre vignette) raffigurano a cavallo l’innominato e don Rodrigo: i due personaggi, apparentemente complici (l’uno rapirà Lucia su commissione dell’altro), risultano – a detta dell’A. – invece iconograficamente diversissimi pur nella comune posa equestre, opponendosi l’incontenibile fierezza del bandito alla coperta viltà del piccolo signore di provincia, incapricciatosi d’una bella villana. Il contrasto figurativo anticipa il passaggio – evidenzia lo studioso – dell’innominato dal campo dei personaggi oppositori a quello degli aiutanti, verificandosi così per questo ruolo, proprio a metà dei “Promessi sposi”, una sorta di passaggio di consegne da Lodovico / fra Cristoforo, spadaccino omicida pentito e convertito, al fuori legge per antonomasia, finalmente illuminato dal sole raggiante di Dio.
Lingua: ItalianoPag. 89-109
Etichette: XIX secolo, Manzoni Alessandro, I promessi sposi, Quarantana,
Titolo articolo: Monsignor Orlando nelle “Confessioni” di Nievo fra connotazioni religiose e parodia
Sacerdoti pubblici e sacerdoti privati, sacerdoti conservatori e sacerdoti progressisti, dalla condotta irreprensibile o sacerdoti mondani. “Le Confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo presentano – secondo Bonalumi – una nutrita serie di figure sacerdotali tanto da poterle considerare deuteragoniste nel rispetto della ricostruzione storica e autobiografica del periodo narrato nel romanzo. Importanti nella prima parte del romanzo, nel mondo feudale, la loro presenza si dirada – rileva l’A. – con l’avanzare della laicizzazione della società e del secolo XIX, ma anche con il passaggio del protagonista, Carlo Altoviti, dalla fanciullezza alla maturità e al suo credere in un Trascendente tanto indeterminato quanto al centro della vita dell’universo e dell’uomo. Romanzo di formazione in cui la religione e i sacerdoti hanno un ruolo importante – conclude l’A. – e Nievo accosta questi ultimi attraverso una pluralità di stili, fino alla parodia e al burlesco.
Lingua: ItalianoPag. 111-127
Etichette: Popolo, Religione, XIX secolo, Ippolito Nievo, Le confessioni di un italiano,
Titolo articolo: Mutazione di una prova giovanile: Vittorio Alfieri “Rime” XV e il ciclo dei sonetti ‘pittorici’
Tra le “Rime” tramandate dai manoscritti alfieriani, la numero XV presenta – secondo l’A. – uno dei processi elaborativi più articolati anche grazie al numero significativo di avantesti giunti. Il contributo propone un’analisi degli interventi alfieriani, per comprendere come si arrivi al testo leggibile nel ms. Firenze, BML, Alfieri 1, cosa comporti ogni campagna di rielaborazione e come queste modifiche si rapportino con quelle attuate su testi dello stesso periodo e di affine vocazione ‘pittorica’. L’A. cerca così di chiarire un aspetto particolare del metodo di lavoro di Alfieri, certamente non estendibile – a Suo avviso – all’intera sua opera e tuttavia utile a comprendere quali scelte stilistiche vengano privilegiate nella costruzione del ‘corpus’ lirico. Nel contributo si tenta inoltre di verificare il significato di questi testi giovanili, osservandone il ruolo nella raccolta d’autore e se influenzi produzioni più mature, anche al di fuori delle “Rime”.
Lingua: ItalianoPag. 131-145
Etichette: Filologia, Sonetto, Variante, XIX secolo, Vittorio Alfieri, Rime,
Titolo articolo: Saverio Bettinelli e Angelo Mazza: un petrarchista e un dantista per gioco?
Il carteggio fra Saverio Bettinelli e Angelo Mazza dà conto – secondo Forner – delle distinte posizioni dei due letterati. Tuttavia, nonostante le divergenze sul valore dei versi di Dante e Petrarca e sulla preminenza fra i due, i corrispondenti costruiscono – rileva lo studioso – una fruttuosa collaborazione, basata sulla fiducia e sul rispetto reciproco. Bettinelli e Mazza condividono, inoltre, un atteggiamento simile – prosegue l’A. – nei confronti dell’imitazione dei poeti stranieri. I due poeti mettono al centro del carteggio la loro produzione poetica, che diventa – conclude Forner – l’oggetto di una serrata e smaliziata analisi.
Lingua: ItalianoPag. 147-158
Etichette: Petrarchismo, Poesia, XVIII secolo, Angelo Mazza, Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Saverio Bettinelli,
Titolo articolo: La ‘dolce società’. Libri e carteggi di un Settecento minore
Il contesto in cui si svolge il racconto critico del lavoro è quello della periferia adriatica al momento delicato del passaggio dall’associazionismo sterile delle colonie arcadiche a quello della generazione dei ‘lumi’, che mostra la sua apertura mentale verso il razionalismo e il cosmopolitismo. Anche in provincia si va alla ricerca della ‘pubblica felicità’ e della ‘dolce società’, ossia delle relazioni tra intellettuali che parlano la stessa lingua. Dall’indagine emergono alcune figure di non secondario rilievo come il Marchese Romualdo de Sterlich, collezionista ed epistolografo instancabile, corrispondente di personaggi italiani ed europei, con i quali discute di libri, di riviste e di altre novità. Non sono da meno il Conte Giuseppe Tiberi del Vasto e il fiorentino Giuseppe Pelli Bencivenni. Si tratta – secondo l’A. – di un insieme di letterati che costituiscono un’appendice poco nota della grande famiglia del ‘partito genovesiano’.
Lingua: ItalianoPag. 159-171
Etichette: Arcadia, Cultura, Letteratura, XVIII secolo, Antonio Genovesi, Abruzzo
Titolo articolo: Porta, Belli e ‘monsignore Monticello’
Nel “Meneghin biroeu di ex monegh” di Carlo Porta si accenna al fatto che un prelato romano, ‘monsignore Monticello’, era stato colto in flagrante durante un amplesso omosessuale con una guardia svizzera. Il silenzio dei commentatori al riguardo – rileva l’A. – ha potuto far pensare a un’invenzione del poeta. Ricuperando invece – prosegue Gibellini – studi vecchi e recenti su Belli (Guglielmo Ianni, Davide Pettinicchio) e alcune fonti documentarie dell’epoca, si rivela che l’episodio accadde realmente e fu commentato a caldo da Carlo Porta nella sua poesia (1820). Si esamina poi la coppia di sonetti belliani “Er furto piccinino” (1847), occasionata da un recente episodio di ruberia da parte di un prelato (seppur meno grave del peculato di mons. Pacca che Porta denunciava nello stesso “Meneghin”), e si mostra che il secondo sonetto del dittico rappresenta una ripresa del poemetto portiano, segno – secondo lo studioso – di una perdurante suggestione esercitata dai versi portiani a vent’anni di distanza dalla prima lettura delle poesie milanesi.
Lingua: ItalianoPag. 173-184
Etichette: Dialetto, XIX secolo, Carlo Porta, Giuseppe Gioachino Belli,
Titolo articolo: Dai versi biblici di Silvio Pellico: la via verso l”attender certo’
Uno sguardo alla produzione letteraria di Silvio Pellico è – secondo l’A. – sufficiente per accorgersi di quanto la “Bibbia” fosse da lui ben conosciuta; essa viene citata spesso, così come sono molte le espressioni e le figure che alludono al Vecchio e al Nuovo Testamento. Nel contributo si presenta un breve libretto del 1840, “Estratti dalle Sacre Scritture”, contenente solo le citazioni bibliche più amate dall’autore torinese; un dono al Re Carlo Alberto che la critica – commenta la studiosa – non ha finora valorizzato in modo adeguato. Pertanto, l’A. auspica che l’avvio di tale studio possa illuminare ancora meglio il percorso esistenziale e religioso dell’autore delle “Mie prigioni”.
Lingua: ItalianoPag. 185-195
Etichette: Bibbia, Religione, XIX secolo, Silvio Pellico, Le mie prigioni,