Le riviste sostenitrici
Studi rinascimentali | 2004 | N. 2
Anno 2004 – N. 2
A cura di Cristiana Anna Addesso
Titolo articolo: Il proemio del “De partu Virginis” di Jacopo Sannazaro
Pur inserito nella solida tradizione umanistica del poema sacro, il sannazariano “De partu Virginis” sembra a Debora D’Alessandro vantare l’indiscutibile primato della ricerca e della scoperta dell’equilibrio fra l’insegnamento stilistico e linguistico della classicità ed il messaggio evangelico. Più delle lettere indirizzate al Seripando, che paiono alla studiosa una introduzione all’officina del Sannazaro, è il proemio del “De partu” a celare sottili allusioni alle reali intenzioni autoriali. Attraverso osservazioni a carattere filologico e linguistico la D’Alessandro rileva l’ispirazione di Sannazaro all’epica classica e al contempo agli autori cristiani, il cui rinnovamento avviene all’insegna della religione delle celesti Muse venerate a Mergellina e Posillipo, il nuovo Parnaso partenopeo.
Lingua: ItalianoPag. 11-22
Etichette: Sannazaro Jacopo, De partu Virginis, Poesia religiosa, Quattrocento, Classicismo, Cristianesimo, Umanesimo, Napoli,
Titolo articolo: Il “Trionfo della Galatea” di Raffaello e il “Libro del Cortegiano” di Castiglione. Il dibattito sull’imitazione nel primo Cinquecento
Pasquale Sabbatino focalizza nel suo saggio la posizione di Raffaello e Castiglione nel dibattito sull’imitazione guardando al celebre affresco della “Galatea”, alla lettera responsiva inviata da Raffaello al Castiglione -che ne aveva intessuto un elogio- e al “Cortegiano”. Il mito di Galatea e Polifemo, per il quale Sabbatino si richiama tra le fonti classiche alle “Metamorfosi” di Ovidio e alle “Imagines” di Filostrato, vede Raffaello gareggiare nella villa Farnesina col Poliziano delle “Stanze” (I, 115-118) nel fondare l’archetipo della storia amorosa tra il Chigi e Margherita Gonzaga. Parallelamente nel Palazzo Farnese Sabbatino osserva, con la guida delle “Vite” belloriane, gli affreschi di A. Carracci (“Polifemo e Galatea” e “Lo sdegno di Polifemo”) che addizionano le due fonti Ovidio e Filostrato per rappresentare allegoricamente la potenza d’amore e il furore della gelosia. La lettera responsiva di Raffaello all’elogio del Castiglione sull’affresco della “Galatea” è per Sabbatino chiaramente allusiva al problema dell’imitazione e lo studioso ne affronta l’analisi in margine alle diverse letture offerte da Panofsky, Battisti, Gombrich e Reale. La posizione del Castiglione nel dibattito sull’imitazione è per Sabbatino ben chiara nel “Libro del Cortegiano” di cui lo studioso legge anzitutto la lettera dedicatoria a Miguel da Sylva in cui emerge il desiderio di elogiare e di fissare la memoria della corte urbinate e l’identità del libro come ‘ritratto di pittura’ e del suo autore come ‘pittor di verità’. Il cortigiano, nel parlare e nello scrivere, non dovrà che imitare la natura come l’artista guarderà alla pittura dell’universo realizzata da Dio. Gli aneddoti di Apelle e Zeusi richiamati dal Castiglione divengono per Sabbatino esemplari della perfetta conoscenza della bellezze e del ‘perfettissimo giudicio’ di bellezza del cortigiano e del pittore.
Lingua: ItalianoPag. 23-48
Etichette: Bellori Giovan Pietro, Castiglione Baldassarre, Sanzio Raffaello, Vite, Libro del Cortegiano, Biografia, Trattato, Cinquecento, Pittura, Imitazione, Mitologia, Rinascimento,
Titolo articolo: Tempo, spazio e colori nelle “Cene” del Lasca
Il saggio di Adriana Mauriello aggiunge un nuovo tassello al mosaico della critica laschiana, focalizzando la funzione del tempo, dello spazio e dei colori nella raccolta novellistica “Le Cene”. Ai tempi lunghi che solitamente caratterizzano gli antefatti si contrappongono quelli più concitati e sempre rigidamente scanditi dei nuclei centrali delle novelle, sì funzionali alla verosimiglianza del narrato, ma spesso legati a quella ritualità del quotidiano che per la studiosa consente sempre di esorcizzare l’irrazionalità o l’estremismo delle situazioni, aiutando i protagonisti a riconoscersi e a ritrovarsi (cfr. II, 1). Se gli spazi aperti, affollati, da percorrere di corsa, favoriscono i meccanismi del comico e del farsesco, lo spazio chiuso ed appartato nasconde insidie, drammi, tragici confronti con se stessi, traducendosi – come la Mauriello sottolinea – in spazio della coscienza (cfr. I, 3; I, 8; III, 10). Infine le scelte cromatiche, che la studiosa rileva orientarsi verso il bianco, nero, rosso, giallo, verde con l’aggiunta dell’oro delle monete, colori accostati per contrasto ad accrescere la spettacolarità della novella, o caricati di valore simbolico come nel racconto di Lisabetta degli Uberti (cfr. II, 3).
Lingua: ItalianoPag. 49-57
Etichette: Lasca, Grazzini Anton Francesco, Le Cene, Novella, Cinquecento, Spazio, Tempo, Narrativa,
Titolo articolo: From epiteth to image: the transformation of “Il Candelaio”‘s protagonists
Il saggio di Fabio Calabrese si propone di stabilire un legame ‘ontologico’ tra le caratteristiche fisiche e morali dei personaggi del “Candelaio” di G. Bruno, attraverso le immagini e gli epiteti ‘bestiali’ significativamente utilizzati dal Nolano. Soffermandosi sull’aspetto filosofico del potenziale offerto dalla sostanza e dall’intelletto umano, Calabrese ne sottolinea l’uso corrotto, bestiale e ‘asinino’, da parte dei protagonisti del “Candelaio” che mantengono solo la forma di esseri umani. Calabrese rileva che il petrarchista Bonifacio, l’alchimista Bartolomeo e il pedante Manfurio sono frequentemente associati, se pure in diverse accezioni, all’asino e rappresentano la negazione del tipo umano che dovrebbero incarnare, avendone l’aspetto ma non la sostanza. Rilevanti in tal senso per lo studioso i passaggi in cui, a guisa di animali, i tre protagonisti vengono sottoposti a significative ‘svestizioni’, privati dell’uso della parola o costretti a terra in posizioni bestiali.
Lingua: InglesePag. 59-68
Etichette: Bruno Giordano, Il Candelaio, Tragicommedia, Cinquecento, Teatro,
Titolo articolo: Da Ariosto a Tasso: la verità della storia e le bugie della poesia
Stefano Jossa ricostruisce nel suo saggio il dibattito cinquecentesco sul rapporto poesia-storia e sullo statuto della poesia. Ariosto è il primo (Furioso XXV, 26-28) ad affermare il carattere ‘fittizio’ della poesia e al contempo a rilevare (Furioso, VII, 1-2) che la ‘menzogna’ poetica è funzionale a cogliere la realtà da diverse prospettive ponendosi in posizione antagonistica rispetto alla storia. Jossa non manca, dunque, di ripercorrere le posizioni del Dolce e dell’Aretino sul carattere favoloso dei romanzi cavallereschi e sonda l’esigenza di storicità esplicita nei poeti cinquecenteschi che scrivono guidati da una materia o da un ‘metodo’ storico (Trissino, Bolognetti, Pigna, Alamanni, Giraldi). Il ritorno alla storia da parte di autori come Trissino e Giraldi, preludii al Tasso della “Gerusalemme”, vale per Jossa a ‘recuperare e rifondare la poesia’, la cui verità (retorica e ‘allegorica’) va al di là della storia, le dà un senso, ‘trasfigura’ sì la realtà ma per rivelarla attraverso la fictio.
Lingua: ItalianoPag. 69-82
Etichette: Ariosto Ludovico, Tasso Torquato, Orlando furioso, Gerusalemme liberata, Poema cavalleresco, Cinquecento, Poesia, Rinascimento,
Titolo articolo: Renaissance perspectives on the (re)birth of music
Le osservazioni di W. Bowen sulle teorie musicali rinascimentali prendono le mosse dai trattati tardo-quattrocenteschi del Tinctoris che, alla musica classica e biblica conoscibile solo teoricamente attraverso descrizioni e commentari, faceva seguire il periodo intermedio di Gregorio, Ambrogio, Agostino, Capella, per collocare la vera nascita di una nuova arte musicale nel 400 stesso ad opera di Inglesi ed Olandesi, la cui ‘polifonia’ fu poi importata in Italia. Bowen contrappone alla voce di Tinctoris quelle dissenzienti di B. Cirillo e N. Vicentino, teorizzatori della possibilità di un recupero del modello musicale classico adattabile persino alla moderna polifonia, e di G. Mei, legato alla Camerata fiorentina, propenso a considerare la musica moderna una corruzione della pratica antica. Il saggio di Bowen offre infine alcune considerazioni conclusive sul peculiare ‘scisma’ fra musica antica e moderna, alla luce della incompatibilità tra la reale pratica musicale rinascimentale e il concetto platonico della armonia metafisica (‘musica pratica’ vs. ‘musica speculativa’).
Lingua: InglesePag. 83-90
Etichette: Cirillo Bernardino, Mei Girolamo, Tinctoris Johannes, Vicentino Nicola, Cinquecento, Musica, Platonismo, Rinascimento,
Titolo articolo: Music and rethoric in the early modern period. A reassessment of the relationship
Il rapporto tra la musica e la retorica, oggetto di interesse fra i teorici musicali del Rinascimento, è al centro del saggio di McGee, che sottolinea la parentela tra le retoriche ‘dispositio’ ed ‘elocutio’ e la musica, ed esibisce una tabella di figure retoriche che sembrano avere una corrispondenza nella rappresentazione musicale. Tuttavia McGee, rilevando alla luce dei suoi sondaggi che i compositori usavano piuttosto la retorica come semplice ‘guida’, menziona in particolare Tinctoris, Gaffurio, Vicentino, Zarlino, teorici che gli consentono di focalizzare l’attenzione su quel ‘cantare all’improvviso’ che richiedeva al cantante le doti ed i modi propri dell’oratore (pronuntiatio). Nelle analisi dei teorici rinascimentali è altresì da sottolineare per McGee il tentativo di affrontare e classificare, in un vantaggioso dialogo interdisciplinare, le tecniche musicali nei notori termini della retorica.
Lingua: InglesePag. 93-99
Etichette: Musica, Retorica, Cinquecento, Rinascimento,
Titolo articolo: Sui rapporti tra Bruno e la cultura elisabettiana
Il soggiorno in Inghilterra (aprile 1583-ottobre 1585) di Giordano Bruno, i suoi rapporti con la cultura inglese, gli influssi subìti e le tracce lasciate, sono al centro del saggio di Maria Concolato che, ripercorrendo il dibattito critico e gli studi apparsi in merito, presta particolare attenzione all’eco del pensiero del Nolano nelle personalità con le quali entrò in contatto. Si parte da Philip Sidney dedicatario de “Lo spaccio della bestia trionfante” e degli “Eroici Furori”, che lascia intravedere suggestioni bruniane sia nella raccolta “Astrophil and Stella” che nella “Arcadia”. Interessante il caso di John Florio, menzionato ne “La cena delle ceneri” (II dialogo), che non solo inserisce Bruno come personaggio dialogante nei “Second Fruits” (1591), il suo secondo manuale per l’apprendimento dell’italiano, ma arricchisce di citazioni tratte da opere bruniane la seconda edizione del suo dizionario “Queen Anne’s New World of Words” (1613). Echi del Nolano risuonano per la Concolato in Spenser e Ralegh, ma anche nel teatro elisabettiano. Valide, per la studiosa, risultano le osservazioni di Hillary Gatti sul rapporto tra il bruniano furioso eroico e il protagonista del “Doctor Faustus” di Marlowe, così come le letture in chiave bruniana di alcuni testi shakesperiani condotte dal Sacerdoti.
Lingua: ItalianoPag. 101-107
Etichette: Bruno Giordano, Sidney Philip, Florio John, Marlowe Charles, Shakespeare William, Cinquecento, Seicento, Teatro, Inghilterra,
Titolo articolo: Campanella, Bruno, Della Porta e Telesio in Cervantes: stato della questione
Prendendo spunto dal saggio di C. De Lollis “Cervantes reazionario” (1924) che sottolineava l’impreparazione culturale dell’autore del “Don Chisciotte”, Encarnaciòn Sanchez Garcìa ripercorre le pagine critiche di Américo Castro, “El pensamiento de Cervantes” (1925), ed il suo approfondimento dei rapporti tra l’autore spagnolo e il pensiero filosofico contemporaneo maturato in area napoletana. Gli elementi magico-fantastici dell’opera cervantina venivano in qualche modo ricondotti dal Castro alle posizioni di Telesio, Campanella, Della Porta e, tra essi, spuntava anche Bruno, il suo neoplatonismo, la sua teoria della coincidenza degli opposti e degli infiniti mondi. La Sanchez rileva la carenza di studi che riprendano le posizioni del Castro specie sui rapporti con Bruno e Campanella, ad eccezione delle pagine del Villanueva e della Schwartz Lerner sul possibile influsso telesiano e dei cenni sulla componente dellaportiana avanzati da Asensio.
Lingua: ItalianoPag. 109-114
Etichette: Bruno Giordano, Campanella Tommaso, Della Porta Giovan Battista, Telesio Bernardino, Cervantes Miguel, Cinquecento, Seicento, Spagna,
Titolo articolo: Anatomia di un ‘gap’: fra tramonto del Rinascimento e alba della modernità
Francesco Guardiani si interroga nel suo saggio sulla dinamica tra la fine del Rinascimento e l’alba dell’età moderna, focalizzando la sua attenzione su quel particolare ‘gap’ che intercorre naturalmente tra la conclusione di una esperienza e l’inizio di una nuova. Il caso di Giovan Battista Marino e del suo “Adone”, l’interpretazione datane dal Pozzi, la sua contemporaneità con altre ‘individualità sconvolgenti’ e rivoluzionarie, induce Guardiani ad esaminare la fisionomia di questo ‘gap’ in margine a McLuhan e N. Frye, alle loro considerazioni sulle svolte rappresentate dalla stampa (1450) e dalla prospettiva in pittura (1425). ‘Nel gap’, che annuncia solitamente il rifiuto ed il rovesciamento di determinate costanti, si collocano, animandolo e contribuendo al passaggio verso la modernità, i pittori manieristi da un lato, accomunati per Guardiani dal rifiuto di quella prospettiva ormai portata al massimo delle sue potenzialità, e Marino dall’altro che con il suo particolare ‘iper-petrarchismo’ traghetta verso il completo esautoramento del modello petrarchesco attuato dal pieno Barocco.
Lingua: ItalianoPag. 115-120
Etichette: Marino Giovan Battista, Adone, Poesia, Cinquecento, Seicento, Stampa, Pittura, Rinascimento, Manierismo, Barocco,
Titolo articolo: Late nineteenth-century views of the Renaissance in Canada: the Columbian celebrations of the York Pioneers (Toronto) and the Institut Canadien (Québec) in 1892
Il saggio analizza le diverse interpretazioni del concetto di Rinascimento in alcuni commentatori dell’800 canadese, guardando alla loro speranza che la ‘rinascita’ culturale fosse di fatto iniziata nei loro tempi. La Murray offre pertanto una lettura comparativa di due celebrazioni del quattrocentesimo anniversario ‘colombiano’ in Canada (1892), quello ‘inglese’ di Toronto e quello della comunità francofona di Quebec City.
Lingua: InglesePag. 123-128
Etichette: Colombo Cristoforo, Ottocento, Rinascimento, Canada,
Titolo articolo: Un precursore delle “Annales”? Salvatore di Giacomo e “La prostituzione in Napoli nei secoli XV, XVI e XVII”
Il rifiuto del determinismo scientifico e dei canoni naturalistici dell’impersonalità e dell’oggettività a favore di un ‘verismo sentimentale’, di uno studio cioè soggettivo, empatico e compassionevole dei meandri dell’animo umano che solo ne può assicurare una più profonda conoscenza, sono alcuni dei fondamenti della poetica digiacomiana sottolineati da Sergio Minichini che conduce significativamente nel saggio una lettura de “La prostituzione a Napoli nei secoli XV, XVI, XVII” (1899). L’autore segue il Di Giacomo nel suo metodo d’indagine sul meretricio a Napoli, tra fonti storiche e letterarie e pagine di costume, dal periodo normanno-svevo a tutto il Seicento. Recensite dal Croce, che ne sottolineò positivamente la mancanza di ipocrisia nel trattare un argomento in parte scaboroso ma anche l’eccessivo gusto pittoresco, le pagine digiacomiane sono per Minichini sia un valido esempio della capacità dell’autore di applicazione del microscopio alla storia sia del suo sempre presente afflato umano nei confronti del popolo napoletano.
Lingua: ItalianoPag. 129-134
Etichette: Di Giacomo Salvatore, Ottocento, Donna, Verismo, Napoli,
Titolo articolo: The Renaissance novellas of Mario Pratesi
Oggetto del contributo critico della Urbancic sono le novelle ‘rinascimentali’ pubblicate dal Pratesi sulla “Nuova Antologia”, “La barba di Meleagro da Bagnaia” (1907) e “Il sogno del vecchio Benvenuto” (1920), aventi come protagonisti Michelangelo e Cellini. L’anticlericalismo di Pratesi, che la studiosa discute anche alla luce dei rapporti col Tommaseo, è abbastanza vivo nella prima di queste due novelle che rappresentano con i loro allusivi contenuti, le loro ambientazioni e i protagonisti, uno strumento di riflessione sui dibattiti socio-politico-religiosi dell’Italia post-Risorgimentale, post-bellica e fascista, di cui il Rinascimento si fa ‘tropo’. Michelangelo e Benvenuto Cellini, inoltre, emblemi dell’artista ‘tormentato’, incompreso e in conflitto con un potere che opprime ma a cui non si osa ribellarsi, sono per la Urbancic anche alter ego dell’autore e delle sue crisi private conseguenti all’abbandono dell’insegnamento e alla malattia.
Lingua: InglesePag. 135-141
Etichette: Pratesi Mario, La barba di Meleagro, Il sogno di Benvenuto, Novella, Novecento, Rinascimento, Risorgimento, Fascismo,
Titolo articolo: Ariosto letto da Pirandello
Il saggio offre una lettura del giudizio che Pirandello espresse su Ariosto ne “L’umorismo”, che per Saccone può dirsi anche strumentale alla difesa della propria poetica e delle proprie modalità narrative. Le riflessioni pirandelliane sulle intellettualistiche costruzioni ariostesche risultano a ben vedere osservazioni sull’arruffio, sul macchinismo, che caratterizza i propri intrecci. Proseguendo nell’analisi delle pagine pirandelliane, Saccone sottolinea che, ben prima dell’umorismo cervantino, la poesia cavalleresca è per lo scrittore siciliano piuttosto dominata con Pulci ed Ariosto dall’ironia. Ripercorrendo alcuni degli episodi del “Furioso” focalizzati da Pirandello (il castello di Atlante, il volo di Ruggero sull’ippogrifo, Rinaldo nella selva Calidonia) Saccone rileva come nell'”Umorismo” il segreto dello stile ariostesco sia individuato nell’armonioso accordo tra ironia ed immedesimazione, nella consapevolezza dell’irrealtà della creazione narrativa, nel bilanciamento tra ‘verità fantastica’ e ‘realtà effettiva’. L’ironia di Ariosto per Pirandello è preludio a quell’umorismo che solo il capolavoro di Cervantes riuscirà ad esprimere.
Lingua: ItalianoPag. 143-149
Etichette: Ariosto Ludovico, Pirandello Luigi, Orlando Furioso, L’umorismo, Poema cavalleresco, Cinquecento, Novecento, Umorismo, Ironia, Rinascimento,
Titolo articolo: Gadda e il Rinascimento
Il saggio rileva i riferimenti alla cultura rinascimentale presenti nella poetica e nell’opera del ‘maccheronico’ Gadda. Dopo aver sottolineato proprio la difesa gaddiana del gioco maccheronico, che ha una sua funzione gnoseologica, solide basi antropologiche e folcloriche nonché il privilegio della profondità, Botti focalizza le principali ‘icone’ rinascimentali di Gadda: Bruno, Machiavelli e Ariosto. Citato nel “Castello di Udine”, in “Dejanira Classis”, nella “Cognizione”, Bruno ed il suo umorismo ‘consuonano’ per Botti con l’istanza maccheronica di Gadda della ‘veridicità totale’. Su questa linea anche Machiavelli, maestro di stile, contribuisce con la sua peculiare immersione nella contaminante e spesso violenta materia narrata alla costituzione del maccheronico ‘pasticciaccio’. Infine l’Ariosto, che Gadda legge per Botti in chiave sublime e liricizzante, simbolo della ‘latitudine del sogno’ e paradigma del gioco fantastico, cui Gadda si appella nel saggio “I viaggi, la morte’ per il discorso sul destino dei simbolisti.
Lingua: ItalianoPag. 151-160
Etichette: Ariosto Ludovico, Bruno Giordano, Gadda Carlo Emilio, Machiavelli Niccolò, Cinquecento, Novecento, Letteratura maccheronica, Rinascimento,
Titolo articolo: Il ritratto di una pittrice del Rinascimento nel romanzo “Artemisia” di Anna Banti
La tormentata vita della pittrice Artemisia Gentileschi è oggetto del romanzo ‘autobiografico’ di Anna Banti, “Artemisia” (1947), di cui la Sanguinetti offre una lettura. Creatura debole, segnata da uno stupro, ma al tempo stesso artista-amazzone, l’Artemisia tratteggiata dalla Banti vive all’ombra del padre Orazio e soffre del loro fragile e precario rapporto; è segnata dalla solitudine della creatività e finisce con l’allontanare sia il debole marito che la figlia, instaurando rare amicizie femminili in un mondo dominato dagli uomini, da donne brutali e da mezzane. La Sanguinetti, che conduce un’analisi anche di “Corte Savella” (1960), il dramma che la Banti derivò dal romanzo “Artemisia”, rivela come l’autrice – vissuta all’ombra del marito Roberto Longhi – faccia della pittrice rinascimentale un alter ego cui affidare la propria rivalsa non tanto nel mondo della letteratura ma in quello preclusole dell’arte.
Lingua: ItalianoPag. 161-166
Etichette: Banti Anna, Artemisia, Romanzo, Pittura, Cinquecento, Novecento, Rinascimento,
Titolo articolo: Aldo Vallone e l’interpretazione dantesca nel Rinascimento
Luigi Scorrano ripercorre la riflessione di Aldo Vallone sull’interpretazione di Dante nel Rinascimento, avviatasi definitivamente negli anni ’60 per sfociare nel celebre “L’interpretazione di Dante nel Cinquecento” (Firenze, 1969) e nella monumentale sistemazione della “Storia della critica dantesca dal XIV al XX secolo” (Padova, 1981). Scorrano ricostruisce l’indagine di Vallone sull’età laurenziana e sulla linea Benvenuto-Landino-Vellutello, la distinzione delle linee interpretative dantesche platonico-linguistica e morale-filologica. Guarda quindi alla lettura bembiana, alla focalizzazione sulle peculiarità dei suoi seguaci (Dolce, Ruscelli, Giraldi Cinzio) e dei suoi oppositori (Machiavelli, Liburnio, Trissino, Tolomei, T. Gabriele, Daniello). Le dense pagine di critica valloniana, che Scorrano sfoglia e commenta, proseguono con la riflessione sull’Accademia fiorentina e sui suoi animatori (Varchi, Gelli, Lenzoni, Galilei). Lo scorcio del ‘500 è dominato dal Borghini e dal Castelvetro, dal Tasso e dal Guarini, ma a Scorrano preme focalizzare anche l’attenzione riservata da Vallone alla polemica seguita alla pubblicazione del “Discorso di M. Ridolfo Castravilla”, di cui il critico ricostruì i contrapposti interventi. Le pagine di Vallone sulla critica dantesca nel Rinascimento, arricchitesi nel 1994 del saggio “Dante tra luci ed ombre”, rivelano per Scorrano quel ‘procedere guardingo’, quei ‘modi accattivanti’ funzionali a trasmettere ‘cordialmente’ i risultati critici raggiunti.
Lingua: ItalianoPag. 167-178
Etichette: Alighieri Dante, Vallone Aldo, Novecento, Cinquecento, Rinascimento,