Studi medievali e umanistici | 2003 | N. 1

Anno 2003 – Annata: I – N. 1
A cura di Alessandra Tramontana

Autore/i articolo: DANIELA GIONTA
Titolo articolo: Pietro Candido e la più antica edizione umanistica delle “Dionisiache”

Daniela Gionta prende le mosse da due epistole di Scipione Carteromaco ad Aldo Manuzio (rispettivamente del 1507 e 1508), relative al progetto editoriale della stampa delle “Dionisiache” di Nonno di Panepoli, affidato alle cure del monaco Pietro Candido, ma destinato, per cause oscure, a non andare in porto. Avvia poi un’indagine sulla tradizione manoscritta delle “Dionisiache”, recuperando così un tassello assai importante per la storia della fortuna di Nonno (l’articolo è anche corredato di numerose tavole, relative a codici delle “Dionisiache” con note di Pietro Candido). Con gli strumenti di una moderna disamina filologica la studiosa riconosce infatti nel codice Pal. Heidelbergensis gr. 85 (=P), all’inizio del ‘500 esemplato con straordinaria fedeltà sull’unico manoscritto contenente le “Dionisiache” che circolava nel ‘400 (Laur. 32,16 [=L]), la copia in pulito vergata da Pietro Candido appunto per la stampa aldina, su cui si deposita un robusto lavoro critico e di revisione testuale da parte del monaco. Pertanto da ‘descriptus’ il codice palatino, a lungo trascurato dagli studiosi del poema epico di Nonno fino all’edizione dl Arthur Ludwich (Lipsiae 1909), oltre a far luce sulla metodologia di lavoro di Pietro Candido, ambisce pure a rappresentare il primo testo critico delle “Dionisiache”, rivelandosi così in grado di fornire fecondi spunti di riflessione per la definitiva ‘constitutio textus’.

Lingua: Italiano
Pag. 11-44
Etichette: Candido Pietro, Nonno di Panepoli, Dionisiache, Poesia epica, Cinquecento, Manoscritto,

Autore/i articolo: PAOLA DE CAPUA
Titolo articolo: Tre note su Filippo Beroaldo il Vecchio

Nel 1476, all’inizio della propria carriera accademica, Filippo Beroaldo il Vecchio pronunciava presso l’università della Sorbona un’orazione. Lucano, e più in generale l’ ‘ars poetica’ gli argomenti precipui della ‘praelectio’, che però diventava strumento assai idoneo anche per una calibrata esaltazione dell’ateneo parigino. Una volta stampata, infatti, la ‘praelectio’ verrà intitolata “Oratio de laudibus gymnasii Parisiorum”, qui pubblicata dalla studiosa assieme alla lettera di dedica a Louis de Rochechouart. A un paragrafo del dibattito sulla patria di Plinio il Vecchio, assai acceso nel secondo ‘400, è dedicata la seconda nota dell’articolo: Filippo Beroaldo, ormai affermato docente dell’ateneo bolognese (siamo nel 1492), viene invitato da Ludovico Cendrata ad esprimersi sull’origine veronese o comasca dello scrittore latino. Insoddisfatto della risposta del professore, Cendrata, per dimostrare la nascita veronese di Plinio, in un’ulteriore missiva produce un documento epigrafico, destinato, pur nella sua sostanziale ambiguità documentaria, ad avere lunga fortuna negli ambienti veronesi (si pensi a G.A. Panteo, P. D. Avogaro, M. Ruffo). Ma quando nel ‘700 si tenterà finalmente di sancire l’arbitrarietà dell’interpretazione dell’epigrafe, non ci sarà più traccia del primo capitolo della ‘quaestio’, appunto il dialogo tra Beroaldo e Cendrata. La de Capua illustra infine un’epistola del 1501, autografa del Beroaldo, indirizzata al veneziano Antonio Vinciguerra, già ambasciatore a Bologna. Vi si raccomanda il promettente nipote omonimo per una collocazione presso la scuola di S. Marco a Venezia, dove la morte dell’illustre Giorgio Valla aveva rimesso in gioco delicati equilibri accademici. Per quanto l’operazione non andasse in porto, resta il valore del documento che oltre a testimoniare come la successione al Valla rimase a lungo una questione ‘aperta’, fa pure luce sulla profonda stima che Beroaldo nutriva verso il nipote, descritto al Vinciguerra come studioso ideale, fedelmente ancorato al modello culturale dello zio. Tutte le note della studiosa sono corredate di riproduzioni dei documenti utilizzati.

Lingua: Italiano
Pag. 45-91
Etichette: Beroaldo Filippo il Vecchio, Epistolario, Quattrocento, Cinquecento,

Autore/i articolo: PAOLA MEGNA
Titolo articolo: Marsilio Ficino e il commento al “Timeo” di Proclo

L’articolo mira ad esplorare i debiti di Marsilio Ficino nei confronti di Proclo, in relazione all’allestimento del proprio commento al “Timeo” di Platone, tradito in una prima redazione dalla ‘princeps’ fiorentina del 1484 e da due manoscritti (Laur. 82,7 ed Est. lat 469), ma poi ampliato in una nuova redazione e andato a stampa nell’ambito dell’edizione dei testi platonici del 1496. La novità del contributo consiste soprattutto nell’avere identificato, al di là del già noto codice Riccardiano 24, che però è incompleto, anche un altro manoscritto procliano con evidenti segni di estratto ed interventi di mano dell’umanista; si tratta del ms. Chigiano R VIII 58 (di cui sono riprodotte tre immagini), utilizzato da Ficino soprattutto laddove il cd. fiorentino era mancante e probabilmente anche in una seconda fase del proprio lavoro sul “Timeo”. Se è certo, infatti, che Ficino cominciò a lavorare sui due manoscritti nei primi anni ’80, è assai probabile che anche in anni precedenti egli avesse a disposizione i due esemplari del commento procliano al “Timeo”. La studiosa documenta infatti come almeno per la composizione della “Theologia platonica” (pubblicata nel 1482, ma circolante manoscritta già dal 1474) e l’ ‘argumentum’ del “Crizia” (dialogo tradotto entro l’aprile del 1466, ma andato a stampa nella versione latina, accompagnato appunto dall’ ‘argumentum’, nel 1484) ci sia stata da parte dell’umanista una chiara utilizzazione dei due codici, più tardi, appunto, massicciamente impiegati soprattutto per la redazione del commento al “Timeo”.

Lingua: Italiano
Pag. 93-135
Etichette: Ficino Marsilio, Platone, Proclo, Timeo, Commento, Quattrocento, Manoscritto,

Autore/i articolo: ANTONIO ROLLO
Titolo articolo: Tra Salutati e Crisolora: il trattato sugli spiriti. Con nuove testimonianze sul greco alla scuola di Guarino.

Lo studioso percorre a ritroso l’itinerario che, avviato alla fine del sec. XIV, avrebbe portato alla stampa napoletana del “De aspiratione” di Giovanni Pontano (1481), teso, in un’epoca di ormai matura consapevolezza linguistica, ad espurgare definitivamente l’assetto ortografico latino dai persistenti retaggi medievali. La necessità di ricorrere all’apprendimento del greco anche per l’acquisizione di una corretta grafia del latino era ben chiara già a Coluccio Salutati, se tra il 1397 ed il 1399 a questo scopo chiedeva a Manuele Crisolora delucidazioni sull’uso dell’aspirazione in greco. Il trattato sugli spiriti del dotto bizantino nasce proprio da tale richiesta ed è consegnato al ms. Paris. gr. 425 che assieme al Vat. gr. 1368, contenente anche la lettera di accompagnamento di Crisolora al Salutati, consente di ricostruire per intero l’episodio. Circolante di solito con gli “Erotemata” dello stesso Crisolora, il trattato sugli spiriti conserva comunque la ‘facies’ di opera indipendente e attira l’attenzione di Guarino Veronese che lo invia all’allievo Francesco Berbaro, dopo averlo sottoposto ad una nuova redazione semplificata (così come già era intervenuto sugli “Erotemata”). Nella tradizione manoscritta al rifacimento guariniano dell’opuscolo del bizantino si accompagna spesso un breve prontuario prosodico anonimo: così, ad esempio, nel Vat. gr. 62 (di cui si riproducono due immagini), una cui sottoscrizione, finora sfuggita a chi aveva studiato il codice, riconduce al celebre allievo e amico di Guarino, Giovanni Lamola. Non è improbabile, pertanto, che tali opere scolastiche, presenti nel Vat. gr. 62 e legate tra loro nella pratica scolastica, siano riconducibili allo studio del greco intrapreso dal Lamola presso Guarino. Anche più tardi, del resto, quando ormai ben altri erano gli strumenti utilizzati per lo studio del greco in Occidente, il rifacimento guariniano del trattato sugli spiriti crisolorino era destinato a sopravvivere, ancora stabilmente utilizzato nella scuola.

Lingua: Italiano
Pag. 137-152
Etichette: Crisolora Emanuele, Guarino Veronese, Salutati Coluccio, De aspiratione, Grammatica greca, Trecento, Quattrocento, Lingua greca, Lingua latina, Manoscritto, Trattatistica,

Autore/i articolo: FRANCESCO TISSONI
Titolo articolo: Letture pindariche: schede sulla fortuna europea di Pindaro nel primo Cinquecento

Il contributo di Tissoni si articola in due diverse sezioni, di cui quella iniziale esamina il paratesto della prima edizione pindarica non italiana (Basilea 1526), costituito da una lettera prefatoria e una postfazione entrambe di Huldrych Zwingli. Al di là degli elementi canonici (dichiarazione di inadeguatezza a svolgere il compito affidatogli dal curatore dell’edizione, ‘vita auctoris’ ed elogio dello stesso), i testi risultano assai interessanti perché chiariscono motivazioni erudite e confessionali della ripresa di Pindaro. Atteggiamento, questo, tipico di Zwingli, che nel caso del poeta greco si applica a discettare della sua ‘sanctitas’, interpretandone il politeismo pagano in chiave monoteista. Ne deriva così la grande utilità della lettura di Pindaro per l’esegesi dei testi sacri e dei Salmi nella fattispecie: la lezione di Zwingli, così elaborata, avrebbe presto dato i suoi frutti nei paesi riformati. La seconda scheda ha come protagonista l’umanista cremonese Benedetto Lampridio, autore di “Carmina” di chiara matrice pindarica, pare ampiamente circolanti già prima della stampa postuma (1550). L’esame dell’epistola in versi dell’umanista all’amico Latino Giovenale e dell’ode ‘metropindarica’ a Lazzaro Bonamico chiariscono la portata di tale emulazione. La lettera, animata dall’intento di ribattere ai detrattori contemporanei, contiene un’interessante dichiarazione di poetica: l’esempio di Pindaro è necessario al poeta per adattare alla lingua latina metri greci, operazione mai condotta prima. ‘E nell’ode a Lazzaro Bonamico che risalta poi in concreto l’originalità di tale esperimento, attraverso l’ampia illustrazione da parte di Tissoni della complessa struttura metrica del componimento. Il trasferimento nella lingua latina di tutto il sistema metrico pindarico operato da Lampridio fu esperimento destinato a rimanere isolato in Italia, ma non altrettanto al di là delle Alpi, dove già intorno al 1530 le “Odi metropindariche” godevano di ampia circolazione.

Lingua: Italiano
Pag. 153-197
Etichette: Lampridio Benedetto, Pindaro, Huldrych Zwingli, Paratesto, Poesia, Cinquecento, Esegesi, Metrica, Umanesimo,

Autore/i articolo: ROSANNA MORABITO
Titolo articolo: Le “Quinquaginta parabolae” di Marco Marulo e la loro traduzione italiana

Oggetto dello studio è la ottocentesca traduzione italiana delle “Quinquaginta parabolae” dell’umanista croato Marco Marulo; eseguita nel 1882 dal professore e scrittore in prosa e versi Giuseppe Gazzino con chiari intenti moralistico-didattici, essa si rivela anche utile a chiarire alcuni aspetti dell’opera maruliana. Dopo un’analisi della tecnica versoria del Gazzino, corredata di numerosi esempi, la studiosa si sofferma, infatti, soprattutto sulla concezione che Marulo aveva del genere parabolico. Illuminante, sotto questo profilo, risultano soprattutto le ultime tre parabole della raccolta (sull’inferno, sul paradiso e sul giudizio universale), nelle quali emerge ampiamente la prospettiva escatologica dell’intera opera. A differenza di quanto sembrerebbe intendere il Gazzino, quando traduce la formula di passaggio dalla parte narrativa a quella interpretativa nella parabola 48, non vi è in Marulo una netta contrapposizione tra il genere parabolico (in sé fittizio) e la narrazione veritiera. Al contrario la Morabito dimostra come l’umanista croato intendesse tale genere letterario come ‘exemplum fictum’ o ‘verisimile’, cioè come rappresentazione imperfetta della realtà spirituale.

Lingua: Italiano
Pag. 199-215
Etichette: Gazzino Giuseppe, Marulo Marco, Quinquaginta parabolae, Letteratura religiosa, Cinquecento, Ottocento, Traduzione,

Autore/i articolo: THOMAS GÄRTNER
Titolo articolo: Zwei Konjekturen zum Prolog der “Achillestragödie” des Antonio Loschi

Si tratta di un breve contributo per la ‘constitutio textus’ del prologo della tragedia “Achilleis” -di forte ascendenza senechiana e basato sulle narrazioni di Darete Frigio- dell’umanista vicentino Antonio Loschi. In particolare vengono proposte delle congetture in relazione a due luoghi che, a detta dello studioso, così per come si leggono nella moderna edizione critica di V. Zaccaria (Ravenna 1981), presentano dei problemi interpretativi, sotto il profilo stilistico e metrico.

Lingua: Tedesco
Pag. 217-220
Etichette: Loschi Antonio, Achilleis, Tragedia, Trecento, Quattrocento, Tradizione, Stile, Metrica,

Autore/i articolo: VINCENZO FERA
Titolo articolo: La trama interrotta. Per Albinia C. de la Mare

E’ il profilo culturale di una studiosa di paleografia, scomparsa da qualche anno, che ha impresso agli studi sull’Umanesimo italiano, e fiorentino nella fattispecie, una linea di sviluppo originale e feconda: il suo modello di lavoro, infatti, incentrato sulla figura del copista, si apre a prospettive inedite, diventando mezzo per la ricostruzione di una storia culturale di ampio respiro. A conclusione del breve saggio si legge un ricco “Contributo per la bibliografia di Albinia C. de la Mare”, dal quale ben emerge la ricchezza di interessi e competenze della studiosa.

Lingua: Italiano
Pag. 223-236
Etichette: De la Mare Albinia, Studi critici, Novecento, Bibliografia, Umanesimo,