Studi danteschi | 2007 | N. 72

La figura del villano, citata in Inferno XV 91-96, alla luce di un approfondito ‘excursus’ condotto da Brilli, si presenterebbe come metafora della Fortuna, in quanto sottenderebbe un ipotesto noto ai lettori coevi della “Commedia”, e non rappresenterebbe quindi un riferimento diretto a Convivio IV xi 8-9.

Bertin scioglie il dubbio relativo al volgarizzamento del libro X dell'”Eneide”, compendiato da frate Anastasio, dell’edizione di Pietro Fanfani. Il modello offerto dai versi di Inferno XXVIII 10 portarono infatti il volgarizzatore a seguire Dante, e non Virgilio, come ‘auctoritas’ e ad interpretare l’ambito geografico Tuscia come Puglia.

In mancanza di un antefatto storico preciso e ben fondato, Casangrande, per delucidare le due lezioni del versi 35-36 di Purgatorio V che riguardano Pia de Tolomei, cerca di chiarire alcuni punti proposti da Del Lungo e da Barbi (i due più eminenti critici del passo) e di verificare il significato del verso ‘desponsare’.

Caligiure ritorna sulle figure di Lia e Rachele viste in sogno da Dante. L’interpretazione che vuole l’una come simbolo della vita attiva e l’altra della vita contemplativa (e come anticipazione alle figure di Matelda e Beatrice), si arricchisce della riflessione sullo specchio evocato da Lia. In esso, l’A. riconosce non solo le Sacre Scritture da tenere innanzi per vedere la propria immagine spirituale, ma, con l’accostamento del termine ‘miraglio’, accenna ai numerosi richiami alla lirica italiana e occitana del Duecento presenti nella “Comedia”.

Viene qui riproposta una lettura tenuta a Firenze presso la Società Dantesca Italiana l’11 maggio 2006. Prandi illustra le funzionalità delle questioni trattate nel canto IV del Paradiso come chiave di lettura di tutta la terza cantica, nonché la coerenza e l’efficacia dei dispositivi formali in esso dispiegati.

Spunti sulla riflessione filosofica e teologica dantesca che fiorisce a stretto contatto con le sintesi di Tommaso d’Aquino e Bonaventura da Bagnoregio. L’A. si concentra quindi sulla concezione dantesca della felicità e del desiderio.

Presentando le tesi critiche di Palma di Cesnola e Furlan, Fenzi conduce un percorso attraverso le motivazioni che inducono a credere la “Monarchia” come prodotto ultimo dell’opera dantesca e a collocare la sua stesura negli ultimissimi anni della vita di Dante (1320-1321).

Il lavoro di Velardi è incentrato sulla dimostrazione che a sposare la figlia di Farinata degli Uberti non fu l’amico di Dante, ma un altro Guido Cavalcanti, giacché la biografia di Cavalcanti fin qui conosciuta è invece relativa ad un suo omonimo.

Presentazione del frammento, riconducibile alla famiglia dei Danti dei Cento, contenente sul recto i vv. 130-139 del canto XI e 1-75 del XII e sul verso i vv. 76-145 e 1-15 del canto XIII del Paradiso, conservato presso il monastero di S. Maria dei Miracoli di Casalbordino in provincia di Chieti.
Il testo è corredato da immagini in bianco e nero.

Indizio si sofferma su alcuni echi della “Commedia” contenuti nell’opera e in alcuni documenti di Francesco da Barberino, notaio valdesano.

Chiudono il volume la Tavola delle sigle adottate nella rivista, le Notizie della Società Dantesca Italiana per l’anno 2006 con due commemorazioni (l’una di Mario Martelli, l’altra di Leonella Coglievina) curate da Guglielmo Gorni, l’Indice dei nomi e l’Indice dei manoscritti.