Sinestesie | 2022 | N. 24 – Speciale

Anno 2022 – N. 24 – Speciale
Numero monografico: D’Annunzio e l’innovazione drammaturgica
A cura di Lorenzo Resio

Autore/i articolo: Elena Ledda
Titolo articolo: Premessa

Premessa al volume.

Pag. 9-11
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Autore/i articolo: Giovanni Isgrò
Titolo articolo: L’idea del teatro en plein air nella scena dannunziana

La rivoluzione scenica operata da d’Annunzio si basa fondamentalmente sull’idea del teatro en plein air come elemento essenziale per portare la scena fuori dal teatro, in un’atmosfera di liturgia e di festa, sì da scardinare la prassi del teatro commerciale borghese. Da qui, la costante presenza dello spazio all’aperto nelle opere dannunziane e la sua funzione attiva nell’evoluzione del dramma.

Pag. 13-21
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Autore/i articolo: Carlo Santoli
Titolo articolo: La drammaturgia moderna di Gabriele d’Annunzio: Le Martyre de Saint Sébastien e La Pisanelle ou La Mort parfumée

Le Martyre de Saint Sébastien e La Pisanelle ou La mort parfumée creano una ‘poetica del meraviglioso e del sublime’, che suscita nel pubblico stupore e ammirazione. Di qui l’originalità del teatro dannunziano in cui si precisano una ricerca del ‘tempo perduto’, di proustiana memoria, e una esigenza etica, profonda, che ordisce e sorregge la trama dell’azione scenica e il messaggio che occorre trasmettere. Attraverso il linguaggio cinetico-filmico della dissolvenza dei colori Bakst crea dei quadri suggestivi, intrisi di poesia e di sogno. Essi restituiscono l’unità dello spettacolo volta alla ricostruzione di un’epoca lontana, che lo spettatore rivive.

Pag. 23-54
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Autore/i articolo: Epifanio Ajello
Titolo articolo: Esercizio dintorno all’uso dello sguardo nella Città morta (con brevi cenni ai testi limitrofi)

L’articolo analizza l’esercizio dello sguardo all’interno della tragedia La città morta di Gabriele D’Annunzio, con alcuni riferimenti ai testi del Fuoco e del Notturno.

Pag. 57-68
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Autore/i articolo: Chiara Bianchi
Titolo articolo: D’Annunzio librettista?

Nel primo periodo del Novecento, Gabriele d’Annunzio, nonostante le sue riflessioni sul teatro e sul teatro musicale in particolare lo avessero portato a dichiarare il Melodramma un genere ormai morto, si avvicinò all’ambiente operistico cedendo alle lusinghe di quel mondo comunque fondamentale nella tradizione culturale italiana. Vi fu attirato oltre che dall’innata curiosità e desiderio di cultura, anche dai vari musicisti che nella prima parte del secolo XX si sentivano attratti dalla sua personalità e dall’intrinseca musicalità del suo verso. I rapporti con i musicisti furono a volte profondi e amicali. Non spesso tuttavia, furono ugualmente fruttuose le collaborazioni sul piano artistico. Sovente, D’Annunzio mostrò di non comprendere appieno le necessità del musicista nel momento della creazione di un’opera di natura essenzialmente musicale; d’altro canto, lui che si faceva portavoce di una nuova idealità di teatro, non poteva neppure accettare che il suo ideale dovesse piegarsi ad esigenze che come Poeta non sentiva. L’approfondimento quindi della natura della collaborazione di D’Annunzio al teatro musicale diventa necessario: D’Annunzio fu o poteva essere un vero librettista? Forse sta nella presa di coscienza del Poeta verso questa modalità di scrittura, differente dal suo sentire, la ragione dell’improvviso abbandono del melodramma.

Pag. 69-76
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Autore/i articolo: Alberto Granese
Titolo articolo: Gli esordi della drammaturgia dannunziana

Per Alberto Granese, nel suo contributo su Gli esordi della drammaturgia dannunziana, i due Sogni, d’un mattino di primavera e d’un tramonto d’autunno, riescono a rendere, nell’opposizione primavera-autunno, la polarità giovinezza/vecchiaia, implicante un’intera e articolata area semantica di metafore oppositive, al cui vertice si collocano i binomi speranza-disillusione, vita-morte. Pur nella loro diversità questi Sogni sono accomunati dalla componente onirica che li attraversa e li collega al Dream di Shakespeare, partendo dall’idea di fondo che la magia del sogno sia paradossalmente uno svelamento della realtà più vera e autentica e lo spazio teatrale onirico funzioni come il momento della rivelazione degli strati profondi della coscienza, permettendo allo spettatore di ritrovare se stesso.

Pag. 77-93
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Autore/i articolo: Gianni Oliva
Titolo articolo: Il teatro di festa. Progettualità e messinscena nella drammaturgia dannunziana

Il saggio punta a meglio definire il concetto di “teatro di festa” come contraltare al teatro borghese post-unitario. Il rinnovamento avrebbe dovuto coinvolgere tutti gli elementi portanti della messinscena (scenografia, recitazione, costumi, danza, musica, registica). Il disegno del teatro di Albano però fallì miseramente a causa della mancata corrispondenza tra la forza delle idee innovative e la debolezza di una loro concreta attuazione: i costi eccessivi e il venir meno dei fondi promessi, la burocrazia, le difficoltà relative al reperimento del luogo ove far sorgere l’edificio, i mezzi di trasporto per gli spettatori.

Pag. 95-108
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Autore/i articolo: Thomas Persico
Titolo articolo: La «ghirlandetta» dannunziana

Questo breve contributo è dedicato alla ripresa, all’interno del Sogno d’un mattino di primavera, della ballata dantesca Per una ghirlandetta. I versi della fonte sono rielaborati profondamente, ma mantenendone inalterati la ripresa, alcuni costrutti, alcuni sintagmi e parole chiave. Se il testo dannunziano è ‘ridotto’ a una serie di soli settenari, i moduli e le forme della versificazione tradizionale ricorrono, nella forma di reminiscenza, anche nel ‘procedere musicale’ delle parti prosastiche che si alternano al canto di Panfilo.

Pag. 109-118
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Autore/i articolo: Donato Pirovano
Titolo articolo: Riscritture e variazioni dannunziane: la Francesca da Rimini

Nella tragedia Francesca da Rimini d’Annunzio ridà vita al celeberrimo episodio del quinto canto dell’Inferno, a partire dal racconto di Andrea Lancia e degli altri commentatori fiorentini e soprattutto dal racconto di Giovanni Boccaccio. In d’Annunzio non scompare, dunque, il nucleo più antico della storia come si era delineata nel secolo XIV, ma esso è disseminato in pochi versi e nelle didascalie finali dell’ultima scena. Dall’intenso lavoro di documentazione del drammaturgo nasce la sua tragedia di sangue e di lussuria che è un vivido e nuovo affresco del Medioevo. Tra le più riuscite novità ci sono due personaggi: Malatestino Malatesta e la schiava cipriota Smaragdi.

Pag. 119-129
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Autore/i articolo: Isabella Innamorati
Titolo articolo: Punti di svolta: La figlia di Iorio fra trionfi e rovine del teatro italiano di primo Novecento

Il contributo si sofferma in particolare sui segnali di cambiamento in atto nel mondo teatrale italiano agli inizi del Novecento manifestatisi con singolare intensità fin dal debutto milanese del 2 marzo 1904 della dannunziana Figlia di Iorio. Questo spettacolo non soltanto costituì il primo autentico trionfo teatrale per Gabriele D’Annunzio, finalmente consacrato quale grande autore drammatico da un coro unanime di consensi, ma fissò, contemporaneamente, il riconoscimento del talento artistico di una nuova leva di attori, quali Teresa Franchini e Ruggero Ruggeri chiamati a elaborare inedite tipologie recitative e a modellare personaggi del tutto nuovi rispetto a quelli in cui erano soliti esibirsi nei ruoli loro assegnati in compagnia. A paragone la parodia scarpettina del Figlio di Iorio segna invece un termine di riferimento in negativo nella carriera del grande beniamino del teatro comico napoletano,
manifestando un’evoluzione profonda del sistema produttivo teatrale che non avrebbe più lasciato spazio, come in passato, alla libertà d’autore e di capocomico di Eduardo Scarpetta.

Pag. 133-147
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Autore/i articolo: Cesare Orselli
Titolo articolo: PARISINA: libretto per…

Il contributo è dedicato al libretto di Parisina, nato dalla collaborazione di Pietro Mascagni con D’Annunzio.

Pag. 149-163
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Autore/i articolo: Angelo Fàvaro
Titolo articolo: La Nave: «foggiata con la melma della laguna e con l’oro di Bisanzio, e col soffio della mia più ardente passione italica». Note sul teatro politico e psicofisico di Gabriele d’Annunzio

Il saggio su La Nave, tragedia di Gabriele d’Annnunzio, che occupò l’artifex additus artifici per alcuni anni, non solo a causa della consultazione di numerosi volumi, alcuni di non semplice reperimento, ma anche per le distrazioni derivategli dalle personali vicende sentimentali, vuole mettere in luce, attraverso precisi rimandi testuali e probanti lacerti documentali, un aspetto di vero interesse per quanto attiene all’innovazione drammaturgica del Vate. Il testo drammatico trova pieno compimento come testo spettacolare di fronte ad un vasto pubblico, coinvolto non solo intellettualmente e “politicamente”, ma anche per le strategiche sollecitazioni sensibili/dei sensi, sollecitati con sapienti espedienti di natura scenico-architettonica, luminotecnica, registica.

Pag. 165-189
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Autore/i articolo: Paolo Puppa
Titolo articolo: Arie e recitativi nella interazione dialogica dannunziana

La poetica dannunziana dell’eccezionalità dello spettacolo teatrale in una strategia ritualistica viene realizzata oggi dalla quasi cancellazione del copioni del poeta, di fatto ignorati per i costi richiesti da allestimenti fedeli, specie dei kolossal del periodo francese, o recuperati solo in occasioni calendariali. Ma la tessitura dialogica di questi testi, in apparenza mono-toni alla lettera, immobili nell’alternanza di soliloqui, sovraccarichi di un lessico magniloquente, antiquario, poco mimetico del quotidiano, come gli rinfacciava il suo nemico Pirandello punta all’astrazione delle suite musicali. Sarebbe ora di riproporli estraendone con auspicabili potature l’energia ancora intatta, magari in cicli, con laboratori dinamici, sfrontati ma fedeli allo spirito della partitura originaria.

Pag. 191-203
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Autore/i articolo: Annamaria Sapienza
Titolo articolo: Martiri di una dolorosa normalità. Le Martyre de Saint Sébastien della Fura dels Baus (1997)

Tra le espressioni più estreme del teatro contemporaneo, il gruppo catalano della Fura dels Baus si è imposto all’attenzione internazionale per l’originalità di un linguaggio scenico che ha superato gli statuti tradizionali del teatro in nome dell’esplorazione di codici provenienti da molteplici ambiti della contemporaneità. Nel 1997 il gruppo cura l’allestimento de Le martyre de saint Sébastien (1911), di Claude Debussy e Gabriele D’Annunzio, che offre alla Fura la possibilità di riflettere sul martirio come il riflesso di una normalità basata sull’esperienza del dolore e dell’emarginazione. L’originale dannunziano si offre generoso anche ad “eretiche” rivisitazioni, rispondendo ad interrogativi urgenti sul rapporto tra l’uomo e il suo tempo.

Pag. 205-220
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Autore/i articolo: Raffaella Bertazzoli
Titolo articolo: Due letture ecfrastiche per la Figlia di Iorio

Da sempre legate dall’omonimo titolo di Figlia di Iorio, la tela michettiana e la tragedia di D’Annunzio hanno avuto una gestazione lunghissima. A partire dal 1881, il pittore ha steso, tra abbozzi e quadri compiuti, una serie di opere che rappresentano la prima fase di un ciclo narrativo che non fu mai compiuto per intero. Così, infatti, Michetti chiarisce il suo progetto pittorico in un’intervista rilasciata a Jarro nel 1910. L’ultima stesura per la mostra di Venezia (1895) si distingue dalle precedenti versioni per un’impostazione non più sociologica, ma mitica. A questo cambiamento fu direttamente coinvolto d’Annunzio durante la sua presenza a Francavilla. I rapporti tra le due opere, nella fase finale, si definiscono nella funzione tragica della figura della protagonista.

Pag. 221-245
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Autore/i articolo: Raffaele Giannantonio
Titolo articolo: Norman Bel Geddes e La Nave: l’architettura nel teatro dannunziano

Nell’estate 1904 d’Annunzio inizia a raccogliere materiali per comporre la tragedia La Nave per la quale Ildebrando Pizzetti scriverà le musiche, ispirandosi ai canti liturgici e alla musica greca. L’11 gennaio 1908 La Nave va in scena al Teatro Argentina di Roma con le scenografie di Duilio Cambellotti, il cui maggior motivo di successo consiste nella prua di nave collocata al centro del palcoscenico. Molto importante è poi la trasformazione de La Nave in opera lirica con il libretto di Tito Ricordi e le musiche di Italo Montemezzi. La prima viene eseguita al teatro alla Scala il 3 novembre 1918 con le scenografie di Guido Marussig che appaiono
fortemente realistiche, specie grazie alla nave completa realizzata come struttura indipendente. Il 18 novembre 1919 La Nave apre anche la stagione lirica dell’Auditorium di Chicago. Lo scenografo della versione americana è Norman Bel Geddes, il cui impianto scenico differisce fortemente da quello di Guido Marussig, più legato all’architettura e soprattutto molto più fedele alle didascalie dannunziane mentre l’interpretazione di Geddes appare decisamente più pittorica ed espressiva della ‘breadth of vision’ richiesta agli allievi dei suoi Corsi di scenografia. Nel complesso l’opera scenografica di Bel Geddes possiede una particolare importanza in quanto rientra tra le diverse tendenze che si sviluppano nel Novecento, incrementando la concezione unitaria di Richard Wagner che era particolarmente cara a d’Annunzio.

Pag. 249-278
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Autore/i articolo: Maria Pia Pagani
Titolo articolo: Eleonora Duse: l’icona della rivoluzione teatrale dannunziana

A oltre dalla 80 anni dalla morte di Gabriele d’Annunzio (1938) e a quasi cento da quella di Eleonora Duse (1924), questo contributo vuole ragionare su un interrogativo che è giusto sottoporre criticamente alla posterità, nel Nuovo Millennio: è possibile immaginare il teatro dannunziano senza la presenza della Duse? L’analisi di nuovi documenti d’archivio offre una risposta chiara, ma nel contempo ricca di molteplici sfaccettature nella sua periodizzazione storica: la grande attrice è stata l’icona della rivoluzione teatrale dannunziana. Infatti, non c’è aspetto dell’innovazione scenica dannunziana che non la veda coinvolta – con consapevolezza, ma anche suo malgrado, rispetto ai progetti naufragati o irrealizzati. Parimenti, la carriera della Duse non sarebbe mai stata la stessa senza l’apporto fondamentale e decisivo della drammaturgia dannunziana, che le diede – anche da anziana, nel suo rientro in scena negli Anni Venti – la possibilità di sfidare con la sua recitazione le convenzioni dell’epoca e mettere alla prova il gusto del pubblico.

Pag. 277-293
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Autore/i articolo: Elena Valentina Maiolini
Titolo articolo: Vita interiore e ambiente teatrale: sulle didascalie di d’Annunzio

Nelle didascalie di d’Annunzio la psicologia «è spinta così lontano da diventare talvolta ridicola», scrisse Georges Hérelle all’indomani della Città morta, apparentando l’analisi minuziosa delle anime con la compiacenza nella descrizione dell’ambiente scenico. Oggi a chi osservi le note di regia dannunziane, magari con l’ausilio della lente d’ingrandimento delle edizioni critiche dell’Edizione Nazionale, si palesano non solo i numerosi dettagli psicologici del drammaturgo, ma anche l’intertestualità dello scrittore onnivoro e il ritmo metrico e i giochi sintattici del poeta. Di fronte a tale complessità, al giudizio di ridicolaggine si sostituisce una riflessione su un’impresa artistica che nello spazio didascalico tentò forse di far diventare apparente l’armonia nascosta nel dramma.

Pag. 295-305
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Autore/i articolo: Maria Rosa Giacon
Titolo articolo: Il teatro nel testo: sviluppi della Città morta nel Fuoco

Dopo un’introduzione sulla genesi intrecciata della Città morta e del Fuoco, ci si volge al mutuo concrescere della tragedia e del romanzo. Dal raffronto delle funzioni attoriali si ricava che i protagonisti della Città morta rivivono nel Fuoco in una realizzazione a tutto tondo garantita dalla libertà del genere narrativo. Al contempo, la tecnica di smontaggio-rimontaggio utilizzata nelle trasposizioni dal dramma evidenzia come queste siano inedite ricreazioni delle tessere dell’originale, che, rifrangendosi da un luogo all’altro del continuum narrativo, pongono sotto agli occhi del lettore la tragedia nel suo stesso divenire. In tal modo, dai temi come dalla struttura, si evince l’abolizione dell’«errore del tempo», principio fondante del drammaturgo-romanziere. Infine, considerando i passi di teoria drammatica interni al Fuoco, si riscontra trattarsi di veri e propri «atti di parola»: una dimostrazione di poetica sotto forma di dialogo o di monologo interno al personaggio e, pertanto, una nuova comparsa del teatro dentro la narrazione. Si conclude che, smantellando i confini tra i codici, Il fuoco realizza una consonanza sui generis con le avanguardie novecentesche: l’innovatività del drammaturgo è anche quella del romanziere.

Pag. 308-321
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Autore/i articolo: Costanzo Gatta
Titolo articolo: Nel 1923 a Brescia il teatro all’aperto sognato da d’Annunzio

Febbraio 1923. I legionari fiumani di d’Annunzio – alla testa Antonio Masperi – costruiscono sul Castello di Brescia un teatro all’aperto per settemila spettatori. Ispirata dal Comandante offrono una ricca stagione estiva che si apre con la messa in scena de La Nave, per la prima volta all’aperto. Ad Albano d’Annunzio aveva ideato, ma non realizzato, un teatro in riva al lago. Brescia gli permette di realizzare il sogno. A gennaio del 1924 i buoni risultati conseguiti suggeriscono al poeta di rilevare l’impresa del teatro per ospitare i concerti dalla «Corporazione Delle Nuove Musiche» creata nell’estate del ’23 con Casella e Malipiero e mettere in scena «Frate Sole» mistero per coro e voci sole scritto per l’occasione. Resterà un progetto.

Pag. 323-350
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Autore/i articolo: Stefano Amendola
Titolo articolo: Presenza e rappresentazione del divino tra Euripide e D’Annunzio: Afrodite e Artemide nel dramma di Fedra

Il contributo indaga presenza e ruolo delle figure di Afrodite e Artemide nella Fedra dannunziana mediante un confronto con quanto accade nell’Ippolito di Euripide. Nell’antica tragedia le due dee compaiono come personaggi nel prologo e nell’esodo: il dramma umano della Fedra euripidea appare così dominato da queste potenze divine, insensibili alle sofferenze dei mortali. Nel poeta italiano, invece, la protagonista è caratterizzata dall’empietà: questo atteggiamento va interpretato come un positivo impeto di ribellione contro le due dee, che la regina sfida e infine sconfigge.

Pag. 353-369
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Autore/i articolo: Nicola Lanzarone
Titolo articolo: Considerazioni sulla Fedra di d’Annunzio e quella di Seneca

Il contributo analizza le scene e i passi in cui la Fedra di d’Annunzio riecheggia in vario modo l’omonima tragedia di Seneca. Il saggio mostra come il tragediografo italiano erediti e intensifichi il pathos presente nel testo latino. L’attenzione si focalizza sulla scena di seduzione da parte di Fedra, con il conseguente rifiuto opposto da Ippolito, sulla calunnia nei confronti del giovane e sulla conclusione della vicenda tragica.

Pag. 371-386
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Autore/i articolo: Angelo Meriani
Titolo articolo: Ippolito deve morire. Maledizione e morte da Euripide a d’Annunzio

Il contributo intende indagare, sui temi della maledizione e della morte e sui problemi della loro collocazione drammaturgica, i rapporti tra la Fedra di d’Annunzio, l’Ippolito di Euripide, la Phaedra di Seneca e Phèdre di Racine, alla luce dell’analisi comparativa di alcuni brani dei quattro testi.

Pag. 387-407
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