Sinestesie | 2021 | N. 22

Anno 2021 – N. 22
Numero monografico: Percorsi della memoria. Storia e storie nella letteratura testimoniale
A cura di Chiara Tavella

Autore/i articolo: Rosa Maria Grillo
Titolo articolo: Presentazione

Introduzione al volume “Percorsi della memoria. Storia e storie nella letteratura testimoniale”.

Lingua: Italiano
Pag. 9-14
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Autore/i articolo: Michele Bianco
Titolo articolo: L’antiebraismo e l’antisemitismo giudeofobico: dai primordi precristiani all’antigiudaismo della Chiesa delle origini

Il presente saggio, partendo da un concetto allargato di “letteratura testimoniale”, intesa nel significato di dover far conoscere ciò che resterebbe altrimenti ignorato, presenta un tema poco noto, ossia quello dell’antiebraismo, germinato dall’odio giudeofobico, dai primordi precristiani, all’antigiudaismo della chiesa antica, che, arricchiti dalla letteratura antisemitica, nel corso dei secoli, sfoceranno nella “Soluzione Finale” di Hitler, con la tenebra di Auschwitz-Birkenau, metafora e metonimia del Male radicale assoluto, che abita nel cuore della civiltà occidentale, inafferrabile, ingiustificabile e incomprensibile. Dall’esatta cognizione della storia dell’antisemitismo giudeofobico, nel suo millenario sviluppo, confrontata con la teologia, con la filosofia, con l’etica e con la letteratura, si giunge alla conclusione che far conoscere significa scongiurare, per dirla con Benjamin, che “ciò che è accaduto possa accedere ancora”. Solo la conoscenza dei fatti storici, anche nei loro risvolti drammatici, fino all’eccesso del Male, riferendo a tutta la storia giudeofobica quanto Nemo asserisce sul caso di Giobbe, è il solo antidoto contro l’irripetibilità della barbarie che, nel Novecento, il secolo degli orrori e della bancarotta del soggetto, ha interrotto il corso lineare della storia e della civiltà, come ci ha ricordato Diner.

Lingua: Italiano
Pag. 15-28
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Autore/i articolo: Rosa Maria Grillo
Titolo articolo: «Tornare. Mangiare. Raccontare». I bisogni primari nelle testimonianze dei sopravvissuti

Primo Levi è considerato nel mondo il capostipite della letteratura testimoniale, cioè di quei testi autoreferenziali in cui non sono raccontati né l’intera vita né gli eventi a cui si è partecipato da spettatore, ma un lacerto delimitato nel tempo e nello spazio in cui la propria vita individuale è stata stravolta da eventi estremi di cui si vuole dar conto anche a nome di chi li ha vissuti ma non ne è sopravvissuto. Riconosciuta in altre parti del mondo come “Letteratura testimoniale”, in Italia stenta a costituirsi come genere autonomo, ma nel presente saggio, attraverso tre azioni di un verso di Primo Levi, si tenta di individuare un embrionale corpus novecentesco riconoscibile come “letteratura testimoniale”.

Lingua: Italiano
Pag. 29-44
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Autore/i articolo: Lidia Tornatore
Titolo articolo: La ballata ‘Helas! Où donc trouveront reconfort’ di Christine de Pizan: la voce di una donna per le donne

Le “Autres Balades” di Christine de Pizan testimoniano situazioni e problemi della Francia medievale oltre a tematiche personali. La ballata VI della raccolta, intitolata “Helas! Où donc trouveront reconfort” presenta il tema della vedovanza e le difficoltà dello status condiviso da tante donne nel XIV secolo.

Lingua: Italiano
Pag. 45-58
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Autore/i articolo: Stefano Grazzini
Titolo articolo: La fine del mondo contadino nel racconto dei protagonisti: forme eterodosse di letteratura testimoniale

La fine della civiltà contadina, avvenuta bruscamente in Italia a partire dal secondo dopoguerra, ha prodotto nei decenni successivi la fioritura di una memorialistica di gente comune che, a distanza di tempo, ha avvertito l’urgenza di raccontare il proprio passato dando finalmente voce a un mondo che per secoli, a causa del proprio analfabetismo, non aveva prodotto nulla di scritto. Questo tipo di memorialistica popolare o semi-popolare a seconda del livello di istruzione degli autori, conservata in registrazioni, manoscritti, dattiloscritti o pubblicazioni private, costituisce un importante serbatoio di informazioni per la comprensione di un passaggio storico cruciale e per lo studio della mentalità di un gruppo sociale subalterno che era sempre stato osservato e raccontato dall’esterno. Cercando con pazienza in questa ricca produzione si possono individuare testi non solo interessanti, ma anche originali ed efficaci da un punto di vista letterario: è il caso di “Gente del Mugello” di Wilma Tognarelli, una donna che dopo l’infanzia contadina è stata operaia per trentacinque anni in una fabbrica tessile di Prato e ha voluto raccontare la sua storia e quella della sua famiglia.

Pag. 59-76
Etichette: Wilma Tognarelli, Gente del Mugello,

Autore/i articolo: Oriana Bellissimo
Titolo articolo: Vivere per raccontare: Lidia Beccaria Rolfi e l’esperienza concentrazionaria. Da ‘Le donne di Ravensbruck’ a ‘L’esile filo della memoria’

Per il reduce dai campi di sterminio raccontare è un’impresa importante quanto complessa, un bisogno primario, liberatorio: chi ha vissuto il Lager è testimone per diritto e per dovere. Questo bisogno, Lidia Beccaria Rolfi, deportata politica a Ravensbrück, il “Lager delle donne”, lo avvertì già da prigioniera quando trovò la forza di impugnare una matita e di riportare su fogli sparsi un groviglio di pensieri, di riflessioni e di sensazioni che poi sarebbero diventati il punto di partenza delle sue due opere, “Le donne di Ravensbrück” (1978) e “L’esile filo della memoria” (1996). Ravensbrück, per Lidia significò molte cose: l’offesa quotidiana al corpo e all’umanità, la violenza, il feroce sfruttamento lavorativo, ma anche la scoperta di una specificità femminile attraverso il dialogo e le possibili forme di solidarietà tra donne, la nascita di un’idea di Resistenza come conservazione della propria dignità. Partendo dalla testimonianza letteraria di Lidia Beccaria Rolfi, il presente contributo si propone di portare alla luce l’esperienza concentrazionaria femminile, a partire dalla deportazione fino al drammatico ritorno alla libertà e alla lenta riappropriazione della propria identità.

Pag. 77-91
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Autore/i articolo: Giovanni Genna
Titolo articolo: Letteratura e resistenza. Uno sguardo attorno alle scrittrici-partigiane Renata Viganò e Ada Prospero

L’articolo si sofferma sull’importanza storica e sociale delle testimonianze delle “protagoniste dimenticate” della Resistenza, ovverosia le partigiane. Attraverso la lettura di alcuni passi esemplificativi tratti dal romanzo “L’Agnese va a morire” di Renata Viganò (1949) e dal “Diario partigiano” di Ada Prospero (1956), si metterà in luce l’impegno delle protagoniste nella costruzione di una coscienza umana, civile e collettiva in grado di unire la nazione all’indomani della guerra civile.

Pag. 93-106
Etichette: Ada Gobetti, Ada Prospero, Renata Viganò, Diario partigiano, L'Agnese va a morire,

Autore/i articolo: Milena Montanile
Titolo articolo: ‘Io che ho visto’. L’orrore delle foibe tra testimonianza e racconto

Il saggio si concentra su alcuni caratteri della letteratura testimoniale, termine volutamente generico, che abbraccia una gamma molto ampia e variegata di forme testuali (dai racconti autobiografici ai romanzi alle interviste, alle testimonianze reali, fino alle storie di vita qualsiasi), e si distingue per una costante ibridazione di scritture e generi. Si tratta di una narrazione molto diffusa nel panorama contemporaneo delle scritture di sé, che rappresenta una declinazione specifica della forma autobiografica. Si tratta di testi in vario modo testimoniali, che tendono a spostare l’esperienza individuale sullo sfondo di una realtà più ampia, che è generalmente la memoria altamente traumatica di un conflitto. In questi termini, il saggio propone all’attenzione due esempi di narrazione testimoniale: si tratta di due testimonianze postume che raccontano l’orrore delle doline, restando a metà strada tra testimonianza e racconto.

Pag. 107-120
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Autore/i articolo: Antonella Russo
Titolo articolo: Tra testimonianza e propaganda: Giulia D’Arienzo, ‘Madrid. Mesi di incubo’ (1937)

Il saggio prende in esame il testo Madrid. Mesi di incubo, uscito nel 1937 per l’editore Sperling & Kupfer e presentato dalla giornalista Giulia d’Arienzo come sua testimonianza della guerra civile spagnola. Le ricerche hanno evidenziato il profilo ambiguo dell’autrice, inviata nella penisola iberica quale spia del regime fascista, nonché una serie di isotopie di Madrid. Mesi di incubo con la letteratura di propaganda del terror rojo, che si sviluppa in Spagna tra le file dei sublevados.

Pag. 121-138
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Autore/i articolo: Chiara Tavella
Titolo articolo: «Modestissime» memorie di una «grafofila» antifascista

Il contributo prende in esame le poco note “Memorie di un’antifascista” (1946), nelle quali la scrittrice piemontese Barbara Allason offre una preziosa testimonianza di prima mano sulla nascita e sullo sviluppo della cospirazione clandestina di Giustizia e Libertà a Torino. La genesi editoriale del memoriale è ricostruita attraverso testimonianze d’autore e altri documenti inediti.

Lingua: Italiano
Pag. 139-154
Etichette: Barbara Allason, Memorie di un'antifascista, Torino

Autore/i articolo: Annalucia Cudazzo
Titolo articolo: «Quando il tempo avrà scordato le presenti ingiustizie». le carceri borboniche nelle ‘Memorie’ di Sigismondo Castromediano

Nel 1848, Sigismondo Castromediano fu accusato di cospirazione contro la monarchia borbonica e arrestato per aver protestato in difesa delle libertà costituzionali minacciate dal re Ferdinando II. Sin dal primo momento in cui fu incarcerato, decise di dare testimonianza delle esperienze vissute durante la prigionia e dei dolori fisici e morali, toccati in sorte a lui e ai suoi compagni. Con tale obiettivo, scrisse Carceri e galere politiche. Memorie del Duca Sigismondo Castromediano, opera che rientra nel genere della memorialistica risorgimentale e che, dopo una complessa vicenda editoriale, fu edita in due tomi tra il 1895 e il 1896. Le Memorie di Castromediano, oltre ad affrontare diversi aspetti della realtà del Meridione del tempo, denunciano le durissime condizioni in cui si trovavano i prigionieri politici nelle galere borboniche di Napoli, di Procida, di Montefusco e di Montesarchio, dove il Duca fu detenuto per oltre dieci anni. Esse avevano lo scopo di annientare tutto quello in cui i patrioti credevano: costretti a confondersi con coloro che avevano commesso crimini ben più gravi, tra cui i camorristi, venivano privati di ogni loro avere, torturati fisicamente e abbandonati a pessime condizioni igieniche che indebolivano la loro salute e che spesso li portavano alla morte. Per questo, l’opera di Castromediano tramanda ai posteri una testimonianza precisa e dettagliata di una pagina buia della storia, non ancora sufficientemente approfondita.

Pag. 155-168
Etichette: Sigismondo Castromediano, Memorie,

Autore/i articolo: Aldo Maria Morace
Titolo articolo: Un caso (misconosciuto) di letteratura testimoniale: Nicola Palermo

In questo contributo viene riscoperto un testo semisconosciuto della prosa carceraria del Meridione d’Italia, che è anche un esito esemplare di letteratura testimoniale e di denunzia della tirannide borbonica. Per quasi un decennio il patriota calabrese Nicola Palermo è stato recluso, in condizioni disumane, nelle carceri di Montefusco e di Montesarchio; e ha dato vita a un memoir di sconvolgente intensità per forza narrativa e descrittiva, che costituisce anche una delle fonti primarie del “Noi credevamo” di Anna Banti.

Pag. 169-183
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Autore/i articolo: Donatella La Monaca
Titolo articolo: «Perché l’intelletto abbia respiro e la giustizia abbia il suo corso». La testimonianza civile di Giuseppe Antonio Borgese

Nel gennaio del 1935, sul periodico antifascista «Giustizia e Libertà» approdano alla luce editoriale le due lettere indirizzate da Borgese a Mussolini, il 18 agosto del 1933 e il 18 ottobre del 1934, in cui prende corpo la testimonianza del dissenso dell’intellettuale, già dal 1931 trasferitosi in America, rispetto alla deriva autocratica del regime in Italia. Il discorso epistolare, mosso dalla volontà di esprimere il diniego all’imposizione del giuramento fascista agli intellettuali e strategicamente ignorato da Mussolini, giunge, nella seconda lettera del ’34, alla definitiva frattura dal fascismo cui si oppone la «libera unione degli stati d’Europa», un disegno civico coltivato nel tempo con crescente determinazione progettuale. Ci si sofferma sul valore testimoniale di queste missive e sulle modalità con cui il dialogo intertestuale con i coevi diari americani ne interseca, integra e arricchisce lo spessore privato e pubblico. Tale lettura incrociata conferisce infatti, al “racconto” di una parabola individuale quel respiro collettivo che avrà nel “Golia. Marcia del fascismo” e nel Disegno preliminare di costituzione mondiale la sua evoluzione inventiva e utopica.

Pag. 185-198
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Autore/i articolo: Marika Boffa
Titolo articolo: La costruzione di una «specie di romanzo»: testimonianza e racconto nell’antologia ‘Il ritorno del padre’ di Giani Stuparich, curata da Pier Antonio Quarantotti Gambini

Dalla lettura de “Il ritorno del padre”, antologia di racconti di Giani Stuparich curata da Pier Antonio Quarantotti Gambini, emerge la centralità dell’esperienza della Grande Guerra, a cui Stuparich partecipa inizialmente come volontario nel primo reggimento granatieri, e che racconta soprattutto nel diario “Guerra del ’15”. Questo scritto occupa la parte centrale de Il ritorno del padre, posizione non di poco rilievo nella struttura narrativa creata da Quarantotti Gambini che, nella prefazione al volume e nei carteggi all’editore, insiste sulla possibilità di leggere la raccolta come una «narrazione unitaria e compiuta», «una specie di romanzo». Seguendo le sue indicazioni, leggendo cioè “Il ritorno del padre” dall’inizio alla fine, mi è parso evidente che l’esperienza della guerra sia il fulcro su cui si regge l’intera raccolta, nonché il suo motivo unificante, dato che i racconti della prima parte e quelli della terza convergono proprio verso l’esperienza bellica. Nella strutturazione della raccolta, Quarantotti Gambini, a mio avviso, ha cercato di armonizzare i due poli nei quali è racchiusa la personalità di Stuparich: la coscienza civile e la tensione letteraria, individuando nella sua partecipazione alla guerra il momento più significativo della vita di un uomo, oggetto della narrazione de “Il ritorno del padre”.

Pag. 199-214
Etichette: Giani Stuparich, Guerra del '15, Il ritorno del padre,

Autore/i articolo: Antonio D’Ambrosio
Titolo articolo: «Diario mio e di tutti». ‘Pane duro’ di Silvio Micheli

Il libro di esordio dell’ormai dimenticato Silvio Micheli, Pane duro (Torino 1946), vincitore del Premio Viareggio appena risorto dopo la guerra, è un genuino affresco neorealista che descrive la «vita pratica» di «gente sconsiderata, sperduta nel vortice della vita, gente sfruttata, oppressa, dilaniata» nel periodo compreso tra la fine degli anni Trenta e la Resistenza. L’anonimo protagonista, impiegato in una fabbrica, proiezione autobiografica dello scrittore, si fa rappresentante di una collettività oppressa da un «sistema» sociale, politico ed economico cui non riesce a ribellarsi. Una folla anch’essa anonima perché alienata dalle barbare condizioni di vita, alla quale l’uomo prova a dare voce attraverso un romanzo che matura durante l’esperienza bellica, significativamente intitolato “Diario mio e di tutti”, a suggellare quell’identità tra destino individuale e storia universale, testimonianza di un mondo che soffre i soprusi, le ingiustizie, la guerra. La coralità si enuclea grazie alla particolare condizione del protagonista, un superstite che ha vissuto al limite tra la condizione del “salvato” e del “sommerso” e che proprio per questo è in grado di assurgere a voce particolare di un’esperienza collettiva. Testimonia questo sforzo anche la tessitura linguistica, che tenta una mimesi della realtà con un impasto di stile sublime e stile umile, spia dell’intenzione di inserire l’oggettiva riproduzione dei fatti in una tradizione linguistico-letteraria consolidata.

Pag. 215-226
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Autore/i articolo: Lorella Martinelli
Titolo articolo: La testimonianza di Édouard Corbière nei processi di trasformazione della modernità

Pubblicato nel 1832, “Le Négrier” è un grande romanzo di mare che esplora le rotte oceaniche e gli spazi coloniali (la Martinica, il Gabon), con uno sguardo lucido, da antropologo. L’autore, Édouard Corbière – padre del poeta maledetto Tristan -, a lungo capitano nelle navi corsare nel periodo della tratta degli schiavi tra l’Africa e le Antille, inventa un linguaggio polifonico e corale in cui convivono i registri tecnici del lessico specialistico della marina, la prosa descrittiva del geografo e del viaggiatore capace di fissare sulla pagina le peculiarità paesistiche dei luoghi attraversati e la vita nelle colonie. La narrazione acquista un vero e proprio valore testimoniale: i “tristi tropici” del capitano Corbière costituiscono un altrove strutturale regolato da un principio di specularità e diventano simbolo della coscienza europea e francese e delle sue contraddizioni.

Pag. 227-238
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Autore/i articolo: Camilla Cattarulla
Titolo articolo: Epidemie a bordo: le migrazioni di massa e il valore testimoniale della letteratura di viaggio italiana in America Latina alla fine del XIX secolo

A partire dagli ultimi decenni del XIX secolo e fino allo scoppio della Prima guerra mondiale, intellettuali italiani (politici, turisti, religiosi, medici, esploratori, ufficiali, giornalisti, scrittori) pubblicano la relazione di un loro viaggio in America Latina. Si tratta di un complesso di opere che rispondeva all’interesse post-unitario per la pratica odeporica in cui confluivano esigenze di informazione, di acculturazione scientifica e di acquisizione di esperienza tipiche della mentalità dell’epoca. Ma il numero di viaggi di si incrementa grazie anche alla presenza dell’alluvione migratoria italiana verso i paesi latinoamericani, fenomeno con cui l’intellettuale viaggiatore si scontra fin dall’imbarco. Così, all’interno del dibattito apertosi in Italia fra contrari e favorevoli al flusso migratorio, un ruolo importante è stato svolto proprio dagli intellettuali viaggiatori, le cui relazioni erano frutto di una concreta esperienza, aspetto che conferiva loro il prestigio della validità tanto da influenzare non solo il dibattito politico, ma anche l’opinione pubblica. Su quest’ultima si faceva presa con il ricorso a motivi di civiltà e di superiorità etnoculturale, così come si ricorreva all’osservazione della realtà americana – tema quanto mai “esotico” e pertanto di grande attrazione – come stimolo alla lettura. In questa sede viene analizzato il viaggio transoceanico descritto dal medico di bordo Luigi Buscalioni in “La disastrosa traversata del Carlo R.” e dall’emigrante Cesare Malavasi in “L’Odissea del piroscafo Remo ovvero il disastroso viaggio di 1500 emigranti respinti dal Brasile” (entrambe edite nel 1893), con l’obiettivo di attribuire a tali testi un valore di letteratura testimoniale, in particolare per quanto riguarda la denuncia delle pessime condizioni a cui erano costretti i migranti sulle navi dirette ai porti dell’America Latina, condizioni che potevano anche dar luogo al propagarsi di malattie infettive come il colera, il morbillo e la difterite, come appunto accade nei due viaggi in questione.

Pag. 239-253
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Autore/i articolo: Laura Mariateresa Durante
Titolo articolo: La letteratura di testimonianza negli autori con un vissuto migratorio nell’infanzia: Jadelin Mabiala Gangbo e Najat El Hachmi

Il saggio si propone di analizzare l’opera narrativa di Jadelin Mabiala Gangbo, autore congolese, naturalizzato italiano, attraverso il confronto con quella di un’autrice con un vissuto migratorio precoce simile al suo, Najat El Hachmi, marocchina naturalizzata catalana. Dalla comparazione tra le tematiche e lo stile dei due si desidera mettere in luce alcuni tratti connessi con l’esperienza di migrazione durante l’infanzia e l’integrazione nel paese di accoglienza e da lì sottolineare il carattere profondamente testimoniale consustanziale all’opera degli autori.

Pag. 255-267
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Autore/i articolo: Annamaria Sapienza
Titolo articolo: Testimoni di una umanità ai margini. Il lavoro di Davide Iodice al Centro di Prima Accoglienza di Napoli

Davide Iodice, regista contemporaneo diplomato all’Accademia Silvio D’amico ma con un ricco percorso sperimentale alle spalle, ha approfondito negli anni numerose espressioni di ricerca artistica, nonché esperienze al limite del teatro divenute poi format laboratoriali adottati in diverse città italiane ed europee. Una riflessione attenta sulla crisi del contemporaneo e le sue diseguaglianze sociali, ha indotto il regista da un lato a concentrarsi sui contesti che riflettono la gravità di alcune trasformazioni sociali e dall’altro a creare una proposta artistico-formativa. Tra i diversi lavori realizzati in tale ambito, le esperienze condotte con un gruppo di homeless nell’ex dormitorio pubblico di Napoli, oggi nella veste giuridica di Centro di Prima Accoglienza, costituiscono un esempio particolarmente emblematico di un teatro che diventa testimonianza individuale e comunitaria, intervento artistico e azione politica sul proprio tempo. In questo percorso si intreccia l’apertura della Scuola Elementare del Teatro presso l’antico edificio dell’Ex Asilo Filangieri di Napoli, officina permanente fondata da Iodice per lavorare sull’emergenza territoriale, che accoglie sessioni distaccate degli interventi con gli homeless. Il laboratorio teatrale è mezzo e fine di tali iniziative che si pongono come terreno di accoglienza delle invenzioni possibili di gruppi eterogenei di aderenti con lo scopo di coinvolgere individui che, a vari livelli, vivono condizioni di isolamento e abbandono. Lo studio intende attraversare, mediante i casi studio di due laboratori, le tappe del viaggio condotto da Iodice nell’ultimo decennio all’interno della realtà dell’ex dormitorio pubblico dove la marginalità sociale viene restituita in forma di poesia scenica. I risultati, raggiunti mediante il lavoro fianco a fianco tra gente comune e professionisti del teatro, si presentano nella forma di una scrittura aperta e disponibile, testualità inclusiva che consente, nel tempo, l’integrazione di ulteriori passaggi tali da garantire continuità e legittimità all’operazione. Le premesse teoriche e operative muovono dall’impiego del teatro come strumento di relazione comunitaria, creazione artistica che si radica nella vita, segno di un tempo presente che alimenta contraddizioni, riflette vuoti istituzionali, evidenzia ingiustizie sociali, testimonia una umanità dolente e spesso invisibile.

Pag. 269-279
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Autore/i articolo: Gennaro Sgambati
Titolo articolo: Bellodi e il «Mi ci romperò la testa». Difesa dello stato e scontro tra arbitrio e diritto ne ‘Il giorno della civetta’

Il contributo si concentra su un’analisi Il giorno della civetta, partendo da un approfondimento sul capitano Bellodi. Per Sciascia, il giallo è un pretesto letterario e con la cronaca delle indagini l’autore desidera evidenziare il dualismo nella società siciliana tra arbitrio e diritto. Il capitano dell’Arma rappresenta la voce dello Stato di diritto in un contesto, siciliano e italiano, caratterizzato da profonda omertà, ergendosi a difesa di quello Stato che lui stesso aveva contribuito a far nascere con la resistenza al nazifascismo. Le virtù di Bellodi lasciano relativo spazio alla narrazione romanzesca. In una cornice in cui il capitano si configura come alterego del Renzo manzoniano, è evidente infatti che la fictio trovi aderenza nella realtà con il rischiamo a Renato Candida, comandante dei Carabinieri di Agrigento che negli anni Cinquanta, si pose, tra i primi esponenti dell’Arma, al centro della lotta contro la mafia. La risoluzione vincente di Bellodi nello scontro tra arbitrio e diritto emerge nelle pagine conclusive del testo. Dopo l’interrogatorio con il Mariano Arena, Bellodi decide di rifugiarsi nel suo luogo sicuro: Parma. Proprio sul punto di resa, però, il capitano rifiuta la sconfitta contro la mafia: «Mi ci romperò la testa» sentenzia, anticipando il ritorno in Sicilia per un percorso di resistenza oramai irreversibile. Dopo aver mostrato con lucida precisione l’esistenza della mafia, Sciascia lancia così un disperato ma duro messaggio di speranza.

Pag. 281-292
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Autore/i articolo: Michele Bevilacqua
Titolo articolo: Les marques de subjectivité dans le discours francophone de témoignage de Roberto Saviano

Trasformando la verità in finzione, lo scrittore italiano Roberto Saviano, con la pubblicazione di Gomorra nel 2006 (2007 in traduzione francese), un romanzo che racconta le dinamiche di potere della camorra, ha scosso il panorama giornalistico e letterario internazionale. Il libro pone le basi per un nuovo modo di descrivere la realtà. L’inchiesta diventa un discorso letterario che fa leva sulla parola potere e sull’io dell’autore, un io che testimonia la ricerca di un elemento di attrazione che dia credibilità al racconto e ratifichi una verità che altrimenti si sarebbe persa nella monotona enunciazione della cronaca. Di fatto, in questo caso, il risultato etico del discorso non si realizza nella conformità tra parole e fatti, ma diventa la garanzia che queste parole e questi fatti restino indelebili nella memoria. Gomorra delinea un’estetica documentaria che, utilizzando una nuova forma di scrittura, trasforma le statistiche, i dati oggettivi e la vita quotidiana attraverso un discorso che collega letteratura, antropologia e sociologia. La soggettività del romanziere diventa allora un testimone e anche un simbolo. In questo senso, il nostro studio si concentra sull’analisi della soggettività nel discorso (Kerbrat-Orecchioni 2009), attraverso i segni dell’enunciatore che creano al discorso della testimonianza. Inoltre, metteremo in evidenza il modo in cui l’autore rappresenta la complessa realtà della camorra ai lettori, il che gli vale anche delle critiche durante la sua ricezione in Francia.

Pag. 293-308
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Autore/i articolo: Ilaria Magnani
Titolo articolo: La gradazione della voce testimoniale in Massimo Carlotto, ovvero una generazione sconfitta in Italia e in America Latina

Sulla scorta della meditata elaborazione teorica sorta dall’analisi della letteratura testimoniale prodotta in America latina, intendo proporre una lettura dell’opera di Massimo Carlotto che centri l’attenzione sulla spinta testimoniale e di denuncia che la anima. Mi soffermerò soprattutto sui testi che vincolano Italia e Argentina nell’intento di rintracciavi una trama biografica e ideologica e di mettere in luce gli elementi di continuità formale destinati a delineare le scelte di una generazione tra slanci politici e sconfitte esistenziali.

Pag. 309-322
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Autore/i articolo: Giorgio Ficara
Titolo articolo: Le avventure di Casanova

A quale genere letterario si può ricondurre l’”Histoire de ma vie”? Siamo davvero di fronte a un testo che può essere pacificamente classificato come appartenente alla memorialistica settecentesca tout-court, o c’è sempre qualcosa che sfugge, che si sottrae, così come il suo stesso autore, alla nostra tentazione di lettori che vorremmo affrontare un testo, misurarci con esso, confortati da solidi schemi interpretativi? E l’autore-protagonista di quest’opera labirintica e vertiginosa cosa sta cercando? In quale modo si sta confrontando e sta rendendo testimonianza di un’epoca ricca eppure insoddisfacente come quella in cui gli è toccato di vivere e di cui gli è toccato di scrivere? A quali voci dà spazio nella sua scrittura? Di tutto questo, e del delicato equilibrio tra erranza e nostos si scrive in questo saggio.

Pag. 323-331
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Autore/i articolo: Eleonora Rimolo
Titolo articolo: Contro l’arroganza del potere: Antigone testimone del Novecento

L’intervento si propone di analizzare il valore testimoniale del personaggio Antigone attraverso i diversi autori e i diversi contesti culturali in cui viene adoperato nel corso del ’900 letterario: la costante di queste rappresentazioni è la lotta ostinata contro la violenza del potere dominante, dal fascismo alla dittatura sudamericana, passando per la resistenza femminista contro il patriarcato e le sue più spietate manifestazioni. Nelle riscritture di Antigone, la figura di testimone e la figura di scrittore non coincidono: tuttavia la costruzione e l’artificio narrativo hanno la prerogativa di giungere non solo a una dicibilità e a una trasmissibilità dell’esperienza testimoniale, ma anche, paradossalmente, a una maggiore approssimazione alla verità dell’esperienza. Da vessillo della ribellione e della resistenza, Antigone si adatta alla simbolizzazione di diverse istanze culturali ed è mossa dal desiderio di testimoniare e affermare le leggi della giustizia. Tra le diverse rappresentazioni di Antigone nel Novecento c’è quella che la vede protagonista di una ricerca militante e ostinata dell’identità femminile con Luce Irigaray, Virginia Woolf e Maria Zambrano. Grete Weil invece rende Antigone testimone e vittima della Shoa, mentre Griselda Gambaro, argentina, propone una riscrittura della tragedia sofoclea al fine di offrire testimonianza di tutte le donne devastate dalla dittatura argentina, madri dei desaparecidos. Tra i riusi del mito di Antigone più recenti, è da considerare il testo poetico “Nel letargo che seguiva l’ingranaggio dei”, tratto da “Variazioni belliche” di Amelia Rosselli, emblema collettivo delle ferite inguaribili della Storia.

Pag. 333-347
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Autore/i articolo: Nicola Bottiglieri
Titolo articolo: Letteratura latinoamericana in esilio: Napoli 29-30 settembre 1979-Roma 14-20 aprile 1980

Testimonianza inedita sulla rete di solidarietà che si sviluppò in Italia negli anni ’70-’80, a Napoli e Roma ma non solo, intorno all’esilio di tanti latinoamericani che fuggivano dalle dittature di Argentina, Uruguay, Paraguay, Cile, e il discorso che il sindaco di Napoli Valenzi pronunciò in apertura dell’evento napoletano.

Pag. 349-363
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