Rivista di studi manzoniani | 2024 | N. 8

Nell’Adelchi il diacono Martino, che ha trovato un nuovo percorso sconosciuto per varcare le Alpi, narra il suo viaggio alla ventura in terre estreme: il suo monologo è il racconto di un miracolo, con accenti favolosi, in un tempo incantato e sacro, come nella tradizione del Leggendario dei santi. Sul personaggio si proietta l’ombra di San Martino, uno dei grandi protettori medievali. Nella tragedia insiste il motivo della via impedita, in senso geografico e morale : ma qui la via si apre inaspettatamente per uno stratagemma divino.

Ripercorrendo il processo di riscrittura della prima minuta che conduce dal Fermo e Lucia agli Sposi promessi, il saggio prende in considerazione il rapporto di Manzoni con gli studi di psicologia degli Idéologues, nell’ipotesi di una loro traduzione nella compagine narrativa del romanzo. Sono oggetto di attenzione soprattutto i luoghi del testo in cui emerge la descrizione dell’involontario, ovvero di un universo interiore che prescinde dalla volontà e dalla razionalità, come il sonno e il sogno. L’intersezione con la scienza consente di rileggere da un punto di vista più ampio i notturni del romanzo, nei quali i modelli letterari del Romanticismo dialogano con le cognizioni della medicina e della psicologia sperimentale, fra Cabanis e Maine de Biran.i

Arrivato al momento di consegnare al Ferrario il primo tomo della princeps, frutto di una lunga gestazione e di un tormentato travaglio correttorio, Manzoni torna sui suoi passi, e interviene massicciamente a riordinare i capitoli VII e VIII : taglia, incolla, riscrive, e consegna finalmente alla Censura una compagine notevolmente mutata. Il saggio indaga le ragioni profonde di questo lavorio febbrile dal quale riesce intensamente rinnovato l’assetto di due capitoli strategici non solo per il primo tomo, ma per l’intero romanzo

In un famoso brano di PS 1840 xiv, il narratore, per chiarire cosa significhi in milanese poeta, dice che « vuol dire un cervello bizzarro e un po’ balzano, che, ne’ discorsi e ne’ fatti, abbia più dell’arguto e del singolare che del ragionevole » (§ 40). Ci si propone qui di spiegare quest’occorrenza di «ragionevole» alla luce del senso che lo stesso aggettivo ha in un altro episodio del Romanzo, anch’esso ambientato in un’osteria, quella del villaggio di Renzo, essa pure frequentata da «galantuomini»; lì sono le «annate» ad essere definite «ragionevoli» (VII 67) : dove, escluso che l’aggettivo significhi ‘secondo ragione’, esso esprime conformità ad un’attesa basata sui precedenti storici (i raccolti degli anni antecedenti la carestia). Allora l’ironico «ragionevole» dell’osteria della luna piena non sarà un succedaneo di razionale, ma potrà polemicamente indicare una certa conformità ai precedenti letterari, cioè ai modelli della tradizione classica, contestata da Manzoni in nome d’una poetica romantica dell’«arguto» e del «singolare».

Il contributo indaga il rapporto fra Alessandro Manzoni e Carlo Porta, concentrando l’attenzione sul versante delle biblioteche. A fronte delle numerose impronte lasciate nelle sue opere, e della frequenza di riferimenti elogiativi nell’epistolario, si conserva nelle raccolte manzoniane di Brera, Brusuglio e di via Morone un solo volume firmato da Porta. Tanto più opportuno dunque ragionare su di esso, sui libri portiani che avrebbero potuto fargli compagnia, e sugli esemplari rintracciabili nella biblioteca di Teresa e Stefano Stampa.

L’articolo, che riprende una conversazione tenuta a Casa Manzoni nell’ambito della ix serie dei Pomeriggi Manzoniani, analizza alcuni passi del capitolo trentatreesimo dei Promessi sposi accostati alla prima versione di Fermo e Lucia IV v. È sottolineata l’arte manzoniana del levare (per esempio, la cancellazione di alcuni tratti oratori contenuti nella descrizione del sogno di don Rodrigo morente di peste) e dell’aggiungere (l’incontro con Tonio impazzito, forse ispirato al Waverley di Walter Scott). Nella descrizione della vigna di Renzo (altro brano non presente in Fermo e Lucia) si nota la compresenza di elementi realistici e simbolici, questi ultimi allusivi alla perpetua lotta che esiste in Natura, fatta salva la provvidenzialità divina; tale pezzo è accostato a una pagina dello Zibaldone di Leopardi, il cui anti-teleologismo pare in diretta opposizione al sentimento manzoniano; è lo stesso sentimento di cauta speranza che governa i passi di Renzo, pronto a rientrare in Milano alla ricerca di Lucia.

Il capitolo XXXVII dei Promessi sposi funge da raccordo tra i capitoli precedenti che si svolgono nel lazzeretto, molto ricchi di alta tensione drammatica, e il capitolo conclusivo con il matrimonio della coppia e la morale finale. Si divide in due parti: nella prima più ampia è protagonista Renzo con suoi vari viaggi, azioni e riflessioni; nella seconda più breve si dà conto della fine di altri personaggi, soprattutto si pone alla berlina l’erudito don Ferrante, quale esponente di una cultura vecchia e superata. Nel capitolo si rintracciano essenziali interventi dell’autore sulle modalità più opportune per concludere un romanzo moderno.

Lo studio e la catalogazione della biblioteca storica di Palazzo Riva a Lugano ha permesso il rinvenimento di alcuni appunti di Alessandro Manzoni a margine del Corso di agricoltura del sacerdote e agronomo toscano Marco Lastri, pubblicato a Firenze in cinque volumi dalla Stamperia del Giglio tra il 1801 e il 1803. Le postille di lettura, come era prassi per Manzoni, dialogano in termini ironici con il testo a stampa e offrono un’ulteriore testimonianza degli usi retorici e linguistici dell’autore (non ultima la polisemia della parola ‘sugo’, a lui molto cara).

Si offre qui l’edizione di due lettere inedite di Giovanni Gentile ad Attilio Momigliano, legate alla collaborazione di quest’ultimo all’Enciclopedia Italiana e al primo numero degli «Annali Manzoniani».