Rivista di studi danteschi | 2002 | N. 1

Muovendo dalla teorizzazione dantesca della ‘canzone’ presente nel “De Vulgari Eloquentia”, l’autore esamina lo stile del poeta in relazione alla strutturazione del sistema di rime che si instaura tra le stanze.

L’autore muove dall’assunto secondo cui l’uso delle espressioni deittiche ha una rilevanza centrale nella costruzione stilistica della “Commedia”. Attraverso passaggi esemplificativi tratti dal poema dantesco si dimostra come – sostiene De Ventura – caratteristica fondamentale del testo della “Commedia” e ragione profonda del suo intrinseco realismo sia la costante presenza di un contesto situazionale di riferimento (p. 61).

Nel saggio sono esposte le argomentazioni circa la datazione delle “Expositiones et glose super Comediam Dantis” di Guido da Pisa. Una copia di questo commento latino all’inferno dantesco fu dedicata all’aristocratico genovese Lucano Spinola, che ricoprì l’incarico di console dei pisani a Genova, e fu fautore delle trattative di pace e di alleanza commerciale tra le due città. L’ultima versione del commento del frate carmelitano, e l’allestimento della copia di dedica si fanno cadere negli anni tra il 1335 e il 1340.

L’autore propone un’analisi dell’opera di Antonio Cesari, le “Bellezze della Commedia” che fu stampata tra il 1824 e il 1826. Oltre ad esaminare il percorso che condusse l’abate veronese a comporre tale analisi linguistica e stilistica della “Commedia” dantesca, si esaminano i contenuti dell’opera la cui struttura è costituita da trentaquattro dialoghi, di cui undici sono dedicati all'”Inferno” e al “Purgatorio” e dodici al “Paradiso”.

Nel periodo che intercorre tra l’inverno del 1301-1302 e la primavera del 1304 si svilupparono le vicende legate all’esilio di Dante, che lo videro partecipare ai tentativi dei Guelfi Bianchi di fare ritorno a Firenze da cui erano fuoriusciti poiché la città era dominata dai Neri. In quest’arco temporale si pone il percorso d’indagine proposto nel saggio, che mira a individuare l’identità del personaggio a nome del quale Dante scrisse nel 1304 l’epistola indirizzata al cardinale Nicolò da Prato. Il documento che costituisce la ‘notificazione ufficiale […] presa da tutti i fuoriusciti […] di affidarsi in totum al legato pontificio’ (p. 134) testimonia il contributo del poeta alla risoluzione pacifica delle trattative tra le due fazioni.

Il saggio muove dall’episodio del novembre 1373, in cui il docente Giovanni Traversi in occasione dell’inaugurazione dei corsi tenuti a Pavia affianca alla pubblica ‘lectura’ dedicata a Lucano, una menzione della “Commedia” dantesca. Si sottolinea l’esistenza in quegli anni di una – dice l’autore – sancita omologazione fra classici per la quale le differenze di lingua erano passate di fatto in secondo piano (p. 154).

Il boccaccesco epiteto ‘Divina’ compare per la prima volta congiunto al titolo “Commedia” nel frontespizio dell’edizione del poema dantesco curata da Lodovico Dolce e stampata nel 1555 a Venezia dal tipografo Gabriele Giolito. Nel contributo si sintetizza il percorso che condusse questa edizione a imporsi come modello editoriale.

Si offre una panoramica delle pubblicazioni previste per gli anni 2002 e 2003. Nel programma editoriale rientrano i due tomi dedicati alle chiose latine quattrocentesche dell’umanista faentino Matteo Chiromono curati da Andrea Mazzucchi, le edizioni delle “Bellezze della Commedia” di Antonio Cesari a cura di Antonio Marzo, e quella del “Commento” di Niccolò Tommaseo curata da Valerio Marucci. Si sintetizzano inoltre i progetti futuri per i quali si stanno definendo le metodologie più adeguate per affrontarne le problematiche testuali, e mettere appunto le opportune strategie editoriali.