La Rassegna della letteratura italiana | 2011 | N. 1

Il saggio di Villoresi si sofferma sulla fortuna di San Francesco a Firenze dall’età laurenziana agli albori del Cinquecento. Essa sarebbe testimoniata da opere di semplice fattura destinate per lo piu’ ad un’utenza popolare: laudi, poemetti, trasposizioni in versi o riduzioni in ottica drammaturgica dei “Fioretti” (tra cui l’anonima “Rappresentazione di San Francesco come converti’ tre ladroni e fecionsi frati”, Firenze, Miscomini, 1490-1495 e la “Vita del glorioso poverello Santo Francesco Da Scasi” edita e forse composta dal canterino Zanobi della Barba a Firenze dopo il 1504); testi anonimi o appartenenti al variegato repertorio canterino, ma anche composti da personaggi piu’ o meno conosciuti del versante letterario religioso come Feo Belcari di cui è riportata la laude “O San Francesco dolce padre mio”.

Rando evidenzia i tratti fondamentali del pensiero alfieriano che farebbero del drammaturgo astigiano il primo moderno italiano, assegnando al concetto di moderno la valenza che esso assume alla fine del XVIII secolo allorchè, anche per effetto della Rivoluzione americana, la modernità dell’ Illuminismo e del dispotismo illuminato lascia il passo a quella del Costituzionalismo e della sovranità delle leggi. Secondo Rando, però, la modernità di Alfieri non si paleserebbe solo nelle posizioni antifisiocratiche e nell’attacco al dispotismo illuminato presenti nel trattato “Della Tirannide”, ma soprattutto nella scoperta della ‘perplessità’ del cuore umano’, da cui nasce, appunto con “Saul”, la tragedia moderna.

Marchi passa in rassegna la produzione di Mario Luzi per evidenziare come il dantismo dell’autore, per cui si ricorre anche alla definizione di dantismo “da discorso naturale” (a Dante Luzi ha dedicato anche il suo primo componimento in versi all’età di nove anni) nel corso del tempo si sia incontrato e abbia interagito con una mutante disposizione religiosa: da un cristinesimo di tipo spiritualistico contemplativo a un cristianesimo dialettico, oltre i confini dell’anima e in relazione con la storia. Conclude l’intervento un confronto tra il dantismo di Luzi e quello di Pasolini.

Camiciottoli analizza il “Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare” evidenziando il rilievo che man mano vengono ad assumere nell’operetta le presenze platoniche. All’influenza platonica andrebbe ascritto anche la presenza dell’elemento fantastico rappressentato dal tema del doppio. A tal proposito l’autore ricorda la data di pubblicazione del dialogo, il 1824, anno successivo a quello in cui Leopardi iniziò la lettura dell’opera omnia platonica in vista di un possibile incarico editoriale come traduttore.

Mettendo a confronto “L’Altieri” di Carlo Dossi (1868), “Riflesso azzurro” (1873) di Ambrogio Bazzero e “Emma Ivon al veglione ” di Paolo Valera (1883), Nutini indaga in che modo e con quali motivazioni tre personalità differenti, ma legate da simili inquietudini ed esigenze di sperimentazione siano arrivate a mettere in pratica soluzioni espressiviste. In nota si chiarisce l’accezione del termine ‘espressivismo’ inteso, secondo la definizione di Vittore Branca, come ‘quei modi di rappresentazione o quelle forme di scrittura che […] tendono con invenzioni espressive a dare piu’ forza alla comunicazione letteraria esasperando i contrasti formali fino a contaminazioni o pastiches o deformazioni verbali o trovate lessicali-sintattiche, con ricorso ai dialetti, ai gerghi, ai codici linguistici tecnici, ai forestierismi e agli idiomi stranieri tutti in certo senso ricreati.

Il saggio di Catalano affronta la questione delle posizioni politiche di Cameroni attraverso alcuni articoli pubblicati dal giornalista sul “Gazzettino rosa” e sull'”Unità italiana” i primi per lo pù brevi, tendenzialmente asistematici e caratterizzati dal gusto del paradosso e della deformazione linguistica, i secondi caratterizzati dalla prevalenza di ricostruzioni storiche, o di taglio cronachistico e dai toni più risentiti. Si delinea uno sviluppo delle posizioni di Cameroni dalle influenze del pensiero mazziniano a quelle della seconda generazione scapigliata da cui mutua il fondamentale nesso arte-società, letteratura-politica che, partendo dal rifiuto della scuola manzoniana e del vecchio classicismo, approda al realismo e nella fase compiuta, al verismo.

Il saggio di Billeri ripercorre i rapporti tra Giuseppe Antonio Borgese e i futuristi, dalle recensioni e gli articoli del primo su “Stampa” e “Corriere della sera” agli articoli di risposta degli stessi avanguardisti su “Lacerba”, all’impegno militare e politico di Borgese e al suo successivo ritiro, fino alla composizione del romanzo “Rubè”. In esso si evidenzierebbe una certa simpatia di Borgese per il futurismo: la morte del protagonista altro non sarebbe che la trasposizione letteraria del capolavoro di Umberto Boccioni “La città che sale”.

Il saggio evidenzia i punti d’incontro e quelli di distacco tra le posizioni di Caproni espresse nelle sue poesie e quelle di Pascal palesate nei sui “Pensieri”. Il punto in cui si sentirebbe la maggior vicinanza del filosofo francese alla poetica di Caproni risiederebbe nel riconoscimento della contraddittorietà come appartenente all’uomo stesso e non alle cose che circondano l’essere umano.