La Rassegna della letteratura italiana | 2000 | N. 2

Vengono qui restituite, in un elenco di trecentosessantuno voci, tutte le pubblicazioni di Walter Binni, grande critico e saggista oltre che indimenticato Maestro dell’Ateneo romano. Avvalendosi di due precedenti lavori, rispettivamente curati dai figli di Binni e da Lucia Mastrofrancesco, l’autrice mira a completare e integrare precedenti lacune, puntando a quella assoluta esaustività che è l’ambizioso obiettivo di ogni rassegna bibliografica.

Arduo e complesso appare il tentativo di enucleare con univocità e precisione le scansioni, le ‘svolte’ davvero significative, nell’affollato orizzonte del nostro Novecento letterario. Dalle “avanguardie” di inizio secolo, “dinamiche” per vocazione – comunque bilanciate dai “vecchi maestri” (Carducci, Pascoli, D’Annunzio, Verga, Capuana ecc., p.369) – al primo dopoguerra, che vede maturare una maggiormente scaltrita coscienza critica dell’intelletuale, nonostante il persistente disagio ideologico-politico. Intenso e conflittuale il rapporto fra letteratura e realtà a partire dagli anni Cinquanta, dominati da un clima – sottolinea efficacemente lo studioso – necessariamente aperto a scenari non soltanto europei, ma senz’altro mondiali.

Fonti e scelte lessicali utilizzate da Machiavelli nella stesura del II libro delle Istorie appaiono inequivocabilmente emblematiche di un metodo storiografico e di una visione del mondo che segna una netta cesura rispetto agli approcci narrativi precedentemente tentati dal Villani, dallo Stefani e dallo stesso Leonardo Bruni. Al 1215, data dell’assassinio del Buodelmonte, egli fa risalire la ‘moderna’ oarabola delle vicende della città, l’inizio di una insanabile frattura tra le due opposte fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini, con il conseguente imperversare di ‘odio’ e ‘rovina’, cui l”insolenzia’ di una nobiltà riottosa ed altera non ha potuto che arrecare ulteriori danni.

Opera abitualmente ignorata dalla critica l'”Ascanio in Alba” del Parini, “festa teatrale” composta in occasione delle nozze di Ferdinando d’Austria e di Maria Beatrice d’Este, per volontà dell’imperatrice Maria Teresa. Al poeta venne inoltre commissionata la stesura della ‘relazione’ di tutto quanto accadde durante le fastose celebrazioni, incarico che egli portò a termine con ogni puntualità e scrupolo. Non certo un capolavoro – conclude l’autrice – ma un incarico condotto con ogni diligenza, comunque vivificato da quella tensione morale che caratterizza la produzione maggiore.

Circa una dozzina le raccolte di versi edite dal Carrer durante la sua esistenza, dalla prima pubblicata ad appena diciotto anni agli “Inni” apparsi nel 1847. Particolamente intensa la sua attività – e la sua fama – negi anni ’30, e frequenti i contatti con gli editori. Costante l’impegno dell’autore nel rivisitare e risistemare la sua opera, mentre la vena creativa dagli esordi decisamente moraleggianti andava evolvendo verso i toni amari e disillusi della satira.

Il simbolo floreale – come ebbe a notare Giorgio Barberi Squarotti – ricorre costantemente nei versi pascoliani, fin dalle prime prove giovanili, con frequenza pari soltanto alle “presenze ornitologiche”. Le più mature “Myricae” ed i “Canti di Castelvecchio” non fanno che confermare una simile tendenza, che viene qui analizzata alla luce di puntuali riscontri sul piano stilistico e su quello quantitativo.

La pubblicazione del primo volume del carteggio tra Aldo Palazzeschi e Marino Moretti, relativa agli anni 1904-1925, testimonia – fa notare l’autrice – di una lunga ed intensa amicizia, comunque non priva di inquietanti interrogativi e di lati oscuri. Indubbiamente molto diversi tra loro i due protagonisti, e nettamente sbilanciato l’equilibrio della corrispondenza: su 389 lettere ora edite meno di quaranta sono a firma di Palazzeschi. Segno eloquente di una comunicazione decisamente imperfetta, di un dialogo che troppo spesso evolve nel puro monologo. Alla lettura dei tomi successivi viene dunque rinviato il non facile bilancio della complessa vicenda.

Non certo inferiori alla produzione narrativa vanno considerati i ‘racconti per ragazzi’ che Silvio D’Arzo compose con l’intento di raggiungere un vasto pubblico di lettori. Tempestivo, dunque, l’invito dell’editore Vallecchi che gli fornisce l’occasione di realizzare una profonda aspirazione. Elementi autobiografici e reminiscenze letterarie si fondono nell’alimentare sempre nuove sperimentazioni formali, arricchite da una feconda vena fantastica.

Il volume miscellaneo dal titolo “Il filo della ragione. Studi e testimonianze per Sergio Romagnoli” suggerisce l’opportunità di riesaminare l’attività critica dello studioso, così densa di spunti e di stimoli alla riflessione. L’opera, ricca di firme prestigiose, esplora tre secoli di storia della letteratura – dal Sette al Novecento
– a ulteriore riprova di un orizzonte di interessi estremamente articolato e poliedrico.