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Italique | 2005 | N. 8
Anno 2005 – Annata: VIII – N. 8
A cura di Silvia Zanini
Titolo articolo: Pétrarque, la parole silencieuse
Se da un lato la poesia di Petrarca è profondamente intrisa di Umanesimo, la parola densa di ricercata ricchezza espressiva, dall’altro l’abbondanza di silenzio in quella stessa poesia è confessione della difficoltà di dare con la parola una definizione concreta. Due sono gli esempi celebri: il primo è la “Lettera Familiare” IV, 1, sull’escursione al monte ventoso, metafora morale della faticosa salita sulla cima per godere del sereno panorama ristoratore. Il rimando è alla “Confessioni” di Sant’Agostino ed alla critica della ‘libido videndi’ ossia la condanna della curiosità dell’uomo per il ‘vain spectacle’ del mondo e esortazione a riprendere la via del ritorno. il secondo esempio è la “Lettera Familiare” VI, 2, dove protagonista è un paesaggio di rovine che suscita nostalgia per l’antichità, in un silenzio desolato. Praticamente coeve (1336-1337), le due lettere evocano un tema comune: il silenzio. La relazione parola-silenzio si trova spesso nella poesia del “Canzoniere”, ove assume la forza di una dialettica complementarietà che costituisce un”alliance avec la langage’, un costante di pieno e vuoto tra dire e non dire. Un ‘mutismo parlante’ che da Petrarca poi riemergerà più tardi nella poesia di Paul Celan, Leopardi, Verlaine.
Lingua: FrancesePag. 9-25
Etichette: Petrarca Francesco, Poesia, Trecento, Critica del testo, Silenzio,
Titolo articolo: Onomastica petrarchesca. Per il Canzoniere
‘Canzoniere’rappresenta un nome ‘umiliante’ che con il tempo è andato sovrapponendosi al titolo originale “Rerum Vulgarium Fragmenta” di Petrarca. Un nome fatto circolare dal XV secolo da copisti ed editori come nome comune, fino a denominare ogni silloge di rime. Un titolo, per dirla con Genette, ‘rematico e descrittivo’. Una sorta di progenitura del termine sarebbe il “Canzoniere” di Guittone, anche se l’archetipo più celebre resta il “Canzoniere” del Petrarca. Stridente appare il nuovo nome con quello originario, voluto dal ‘laureatus poeta’ che proponeva in tutta dignità le rime volgari dei suoi “Fragmenta”. D’altra parte ‘canzoniere’ definiva all’inizio l’intera opera volgare di Petrarca: il passaggio da nome comune a nome proprio evidenzia una questione sostanziale, non solo terminologica, ossia la consapevolezza dell’organicità dei “Fragmenta” cui spettava pertanto un ‘nomen’ che li rappresentasse.
Lingua: ItalianoPag. 27-44
Etichette: Petrarca Francesco, Canzoniere, Poesia, Trecento, Onomastica,
Titolo articolo: Le partage des ‘droits’ sur l’oeuvre littéraire à la Renaissance. Les cas d’Isabella d’Este
Isabella d’Este si ritirava nel Castello di San Giorgio a Mantova nel suo celebre studiolo per leggere, suonare il liuto, riunire piccoli gruppi di musicisti, poeti e cortigiani per recitare, cantare e discutere. Oltre ad arricchire lo studiolo di oggetti d’arte e di impreziosirlo con le pitture di Mantegna, Perugino e del Costa, non inferiore sforzo Isabella d’Este spendeva nell’acquisire libri che accrescessero la sua biblioteca. Oggi dispersa, siamo a conoscenza della consistenza della biblioteca di Isabella attraverso l’inventario che venne redatto due anni dopo la sua morte ma, soprattutto, attraverso la sua corrispondenza. Apprendiamo infatti che la marchesa aveva precisi progetti per la crescita della raccolta libraria, dove inizialmente fecero il loro ingresso i romanzi in volgare di ‘batalie, historie et fabule’ di antichi e moderni autori, di moda nella sua Ferrara. In seguito subentrano anche libri di autori moderni latini e volgari, fino ad arrivare ai contemporanei. Sensibile ai manoscritti autografi, dalle lettere emerge l’interesse di Isabella per la copia o la traduzione di libri, specialmente rari, certa che avrebbero reso ancor più prestigiosa la sua biblioteca. Rilevante è anche la questione dell’uso della dedica, che dimostra la piena consapevolezza dei meccanismi di mecenatismo e dei ‘droits’ sull’opera che il dedicatario poteva, alla fine, vantare per se’.
Lingua: FrancesePag. 45-71
Etichette: D’Este Isabella, Carteggio, Quattrocento, Biblioteca, Diritto, Mecenatismo,
Titolo articolo: Era già il sole nell’usata aurora: un’anonima serie di ottave in un codice parigino
Il codice Italiano 560 conservato presso la Bibliothèque Nationale de France di Parigi è una raccolta straordinariamente ricca di lirica quattrocentesca, di origine settentrionale. I copisti hanno trascritto i testi adespoti e anepigrafici; sono tuttavia riconoscibili numerosi autori della lirica cortigiana di fine Quattrocento (Tebaldeo, Correggio, Boiardo, ecc.), poeti di epoca precedente, toscani e non, ed autori di minor fama, gravitanti tutti intorno alle corti dell’Italia settentrionale o toscani. Solo il Cariteo rappresenta la lirica del Sud. Dei 453 componimenti, ben 336 sono sonetti; altrettanto dominante è l’ottava. Alle cc. 128r-131v il codice reca una serie di ottave anonime: “Era già il sole nell’usata aurora”, in 25 strofe di probabile origine toscana. Si rintracciano modelli in Ovidio, Dante, Boccaccio e Lorenzo De’ Medici, con indubbio riconoscimento dell’autorità petrarchesca, fonti che rendono il componimento un ‘inedito testimone’ dell’intreccio di auctores presente nella poesia italiana del tempo.
Lingua: ItalianoPag. 73-88
Etichette: Era già il sole nell’usata aurora, Poesia, Quattrocento, Analisi stilistica,
Titolo articolo: Scheda per il sonetto di Bembo a Paolo Giovio
Il 13 dicembre 1538, mentre Bembo si trovava a Venezia, scriveva due lettere per informare Cola Bruno e Gualteruzzi della composizione del sonetto “Giovio, che i tempi et l’opre raccogliete” (Rime, CXXXVIII). Il sonetto a Giovio costituiva un ‘tangibile suggello’ dell’amicizia tra i due; le due lettere esprimono in particolare la riconoscenza di Bembo per l’amico, la cui intercessione gli aveva fatto ottenere il titolo cardinalizio a Roma. Il confronto tra le versioni del sonetto presenti in diversi codici dimostrano le varie stesure e le trasformazioni che esso subì, fino alla redazione finale, che non corrisponde al momento della stesura delle lettere. Dopo un’attenta analisi tematica e stilistica, si avanza l’ipotesi che il sonetto a Giovio non sia da annoverare tra i migliori del Bembo. Desiderando egli offrire un segno di gratitudine all’amico e non essendo riuscito a realizzare un ritratto da donargli, Bembo potrebbe aver ‘riciclato’ un sonetto amoroso, forse già scritto o in corso d’opera.
Lingua: ItalianoPag. 89-110
Etichette: Bembo Pietro, Giovio, che i tempi et l’opre raccogliete, Poesia, Cinquecento, Analisi stilistica,