Le riviste sostenitrici
Interpres | 2005 | N. 24
Anno 2005 – N. 24
A cura di Simona Mercuri
Titolo articolo: La canzone a Firenze di Antonio di Matteo di Meglio
Edizione critica della canzone ‘Poiché lieta fortuna e ‘l ciel favente’ (1434) composta da Antonio di Matteo di Meglio, autore di rime religiose, gnomiche e politiche, attivo a Firenze negli anni dell’ affermazione del potere mediceo. Il componimento, che sviluppa un tema tradizionale nella letteratura di stampo politico del primo Quattrocento, ossia l’invito rivolto al popolo fiorentino a perseguire il bene comune, presenta un ricco catalogo di exempla storici (antichi e moderni) di potenze rovinate per le lotte interne e di governi divenuti gloriosi grazie alla concordia civile. Il testo è preceduto da una nota filologica che descrive la tradizione manoscritta della canzone e ne chiarisce i criteri di edizione; segue un ampio commento letterario, storico e linguistico.
Lingua: ItalianoPag. 7-57
Etichette: Antonio di Matteo di Meglio, Poesia, Quattrocento, Medici, Firenze,
Titolo articolo: Il proemio ellenizzante della ‘Silva’ di Matteo Maria Boiardo
Il proemio del quinto componimento dei ‘Pastoralia’ latini di Boiardo, intitolato ‘Silva’, contamina diversi generi letterari di varia provenienza: sull’impianto bucolico di matrice virgiliana si innestano e sovrappongono moduli lirici, anche volgari (Petrarca), elementi encomiastici e cortigiani, peculiari della letteratura cortese, stilemi propri dell’epos classico (Eneide, Punica di Silio Italico), tratti distintivi della poesia erotico-amorosa ed elegiaca di derivazione ovidiana, atmosfere ellennizzanti e propriamente teocritee, seppur con la mediazione latina delle egloghe e dell’Appendix virgiliane. L’individuazione di queste “fonti” consente all’Autore di concludere che “la pastorale boiardesca si apre a una molteplicità generica, in cui appare fondamentale un fenomeno già ellenistico: la riduzione o traduzione in esametri di generi originariamente estranei.
Lingua: ItalianoPag. 58-77
Etichette: Matteo Maria Boiardo, Poesia latina, Quattrocento,
Titolo articolo: Due prolusioni accademiche di Bartolomeo Della Fonte: la ‘Oratio in bonas artis’ e la ‘Oratio in laudem poetices’. Testi e commento
Edizione commentata di due ‘Orationes’ dell’umanista Bartolomeo Fonzio. Articolate secondo gli schemi tradizionali di questo genere di discorsi, con un excursus sulle origini delle discipline oggetto delle dissertazioni e la menzione dei loro maggiori cultori, le prolusioni rivelano la profonda cultura dell’autore, che non esitò a infittire i testi di tessere e reminiscenze tratte da opere dell’antichità classica, tardoantiche e umanistiche. Se l’Oratio in bonas artis (1484) presenta evidenti affinità con un analogo discorso di Bartolomeo Platina, vale a dire l’Oratio de laudibus bonarum artium dedicata a Pio II, la successiva Oratio in laudem poetices (1485) rilancia il tema della superiorità della poesia su tutte le arti liberali, rivelando una forte adesione agli scritti di Cristoforo Landino, maestro del Fonzio, in aperta antitesi con Angelo Poliziano, che in quegli stessi anni, e dalla stessa cattedra universitaria, aveva preso nettamente le distanze dalle teorizzazioni dell’anziano umanista.
Lingua: ItalianoPag. 78-146
Etichette: Bartolomeo Della Fonte, Angelo Poliziano, Bartolomeo Platina, Cristoforo Landino, Prolusioni accademiche, Quattrocento,
Titolo articolo: Machiavelli tra retorica e politica. Il capitolo ‘Di Fortuna’ a Giovan Battista Soderini
Il testo del capitolo ternario ‘Di Fortuna’, qui analizzato principalmente nei suoi aspetti formali, consente all’Autore di mettere in luce la cultura e l’ideologia del primo Machiavelli, che con quest’opera, riproponendo la lezione di Dante, Petrarca e Boccaccio, volle mostrare la sua fedeltà alla Repubblica e fugare i sospetti nutriti dall’oligarchia nei suoi confronti. Il saggio si chiude con alcune “annotazioni suppletive” sul capitolo machiavelliano riguardanti questioni metriche e l’individuazione di nuove “fonti”.
Lingua: ItalianoPag. 147-75
Etichette: Niccolò Machiavelli, Poesia, Metrica, Quattrocento, Cinquecento,
Titolo articolo: Minima adnotanda II (Andrea da Barberino, Luigi Pulci, Niccolò Machiavelli, Leon Battista Alberti, Cristoforo Landino)
Le dieci note che compongono l’articolo traggono spunto da alcuni luoghi letterari poco indagati dalla critica: dal diletto retorico (di derivazione boccaccesca) che anima un’ottava del Morgante (XXI 20), il discorso si allarga al giudizio estetico di Croce sul poema del Pulci, e da questo all’inconsistenza del metodo critico del filosofo di Pescasseroli; l’Autore discute inoltre il significato del verbo “raffinire”, attestato nella Mandragola del Machiavelli; individua curiose coincidenze e analogie tra una lettera del Pulci a Lorenzo de’ Medici e l’epistola A Vincenzo Monti di Ugo Foscolo, tra alcune terzine dantesche (Inf., XVIII 25-33) e il quarto libro del De re aedificatoria, laddove Leon Battista Alberti descrive l’ordo lapidum posto nella romana Via Portuense per regolare l’andamento del traffico di persone e merci, e infine tra il secondo libro del Momus e Purg., I 94-99; riflette poi sulla dote della versutia, la camaleontica capacità, riconosciuta ai sommi poeti, di adattare lo stile alla materia, e della quale anche i critici non possono fare a meno a patto di mantenere una propria maschera stilistica; indica un comune capostipite, vale a dire una massima o un precetto popolare, alla base di Pascoli, Nei campi (Nuovi poemetti), 11-12 e di un passo dell’albertiano frammento della Villa; segnala insolite incongruenze nell’anonima Istorietta amorosa, da taluni attribuita all’Alberti, e in un brano del secondo libro dell’albertiano De pictura, in cui è erroneamente interpretato l’aneddoto plutarcheo su Cassandro; individua e discute infine le fonti che sono alla base delle ottave 72-74 del XIX cantare del Morgante, dove il Pulci riferisce della strana abitudine degli elefanti di dormire appoggiati a un albero e del metodo adottato da Morgante per catturare e uccidere tale animale.
Lingua: ItalianoPag. 176-200
Etichette: Andrea da Barberino, Luigi Pulci, Niccolò Machiavelli, Leon Battista Alberti, Cristoforo Landino, Ugo Foscolo, Dante Alighieri, Giovanni Pascoli, Intertestualità,
Titolo articolo: Due nuovi testimoni della ‘Novella di Seleuco e Antioco’
La studiosa, già autrice dell’edizione critica della Novella di Seleuco e Antioco, segnala qui due nuovi testimoni dell’operetta attribuita a Leonardo Bruni: il manoscritto Vaticano Latino 4830 della Biblioteca Apostolica Vaticana, e il manoscritto Conventi soppressi C 3 2703, conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. I due codici si inseriscono in altrettanti rami della tradizione manoscritta della novella: il primo, del quale viene fornita la tavola pressochè completa dei testi in esso contenuti, viene datato tra 11 marzo del 1450 e il 1457, e incluso nel gruppo ; il secondo, che costituisce una nuova acquisizione anche per la tradizione della novella Della origine della guerra tra Franciosi e Inghilesi di Poggio Bracciolini, e della Novella di Ippolito e Lionora, sulla cui attribuzione a Leon Battista Alberti gli studiosi ancora non concordano, presenta strette analogie con il testimone La³. Quest’ultimo codice, inoltre, costituisce un’importante acquisizione per il testo della Novella del picchio senese di Luigi Pulci, di cui costituisce, come evidenziato dalla studiosa, l’unico testimone manoscritto ad oggi conosciuto.
Lingua: ItalianoPag. 201-14
Etichette: Leonardo Bruni, Luigi Pulci, Poggio Bracciolini, Leon Battista Alberti, Novellistica, Quattrocento,
Titolo articolo: Un invito alla concordia: il motivo del “tirare la corda” dai classici al Quattroceno volgare
Prendendo le mosse dalla descrizione di un affresco senese, le “Allegorie e Effetti del Buono e del Cattivo Governo in città e nel contado” di Ambrogio Lorenzetti, raffigurante la virtù della Concordia che tiene in mano due corde sorrette al capo estremo dal Buon Comune, l’Autore ripercorre i precedenti letterari sia classici che patristici di questa immagine (Cicerone, Livio, Quintiliano, Seneca, s. Agostino, s. Tommaso) e ne segue lo sviluppo fino al Quattrocento volgare (s. Bernardino, Antonio di Matteo di Meglio, Anselmo Calderoni, Bernardo Cambini, Macinghi Strozzi), quando il motivo del “tirare la corda” diviene una sorta di modo proverbiale atto a indicare la necessaria unione d’intenti quale vera forza di uno stato.
Lingua: ItalianoPag. 215-27
Etichette: Ambrogio Lorenzetti, s. Bernardino da Siena, Antonio di Matteo di Meglio, Anselmo Calderoni, Bernardo Cambini, Macinghi Strozzi, Quattrocento,
Titolo articolo: Distici di Martino Filetico a Federico da Montefeltro
Nel manoscritto Marston 93 della Beinecke Library (Yale University), alla c. 42r, si trova un inedito componimento autografo di Martino Filetico del quale viene qui offerta la trascrizione. In esso il poeta si rivolge a Federico da Montefeltro, pregandolo di accettare in dono un ritratto (o forse una statua) creato da un non meglio identificato Clemente. L’Autore propone di identificare tale personaggio con Clemente da Urbino, artista attivo a Urbino negli anni ’60 del Quattrocento, e di datare – ma dubitativamente – a questo stesso periodo la composizione del carme.
Lingua: ItalianoPag. 228-33
Etichette: Martino Filetico, Federico da Montefeltro, Poesia, Quattrocento,
Titolo articolo: Poliziano e i mimografi latini: indizi di una polemica coperta
I versi vv. 701-2 dei Nutricia polizianei nascondono, a parere dell’Autore, una velata polemica nei confronti dei due massimi esponenti del mimo latino, Decimo Laberio e Publi(li)o Siro. Dal raffronto con un distico ovidiano (Ars. am., III 231-32), indicato quale principale modello per i versi del dotto umanista, emerge infatti che dietro l’asettica registrazione del successo di pubblico riscosso dai due mimografi, l’Ambrogini abbia piuttosto voluto celare un severo giudizio nei confronti della loro arte, ritenuta bella solo in apparenza.
Lingua: ItalianoPag. 234-38
Etichette: Angelo Poliziano, Poesia latina, Quattrocento,
Titolo articolo: Due schede pichiane: la sestina e l”Apologia’
L’Autore si sofferma su due scritti pichiani per i quali non esiste ancora una moderna edizione critica: una sestina, l’unica attribuita al Mirandolano, trasmessa soltanto da una stampa veneziana del 1553, e l’Apologia, della quale Bausi ha approntato un testo provvisorio nel 2000, basandosi principalmente su due testimoni a stampa. Lontana dal canone petrarchesco, sia sul piano metrico che nella scelta delle parole-rima e delle fonti, la sestina richiama nel tema alcune scene delle Stanze e dell’Orfeo polizianei, presentando non poche analogie con due sestine di Giusto de’ Conti e Niccolò da Correggio. Sebbene questi elementi non siano sufficienti a confermare l’attribuzione del componimento a Pico, l’ipotesi non appare tuttavia improbabile, considerando soprattutto le peculiarità del metro e il gusto pichiano per le simbologie numeriche. Per l’Apologia, in vista dell’edizione critica, che sarà curata da James Hankins e dallo stesso Bausi, vengono qui elencati i testimoni collazionati e discusse alcune emendazioni, al fine di mostrare l’estrema complessità, sia sul piano ecdotico che critico, del ponderoso trattato pichiano.
Lingua: ItalianoPag. 239-56
Etichette: Giovanni Pico della Mirandola, Poesia latina, Quattrocento, Cinquecento,
Titolo articolo: Filosofia, bibliologia e filologia. In margine alla recente ‘Bibliografia’ pichiana
Dalla lettura della pregevole Bibliografia pichiana, curata da Leonardo Quaquarelli e Zita Zanardi (Firenze, Olschki, 2005), l’Autore ricava due considerazioni circa la fortuna nell’età moderna della produzione letteraria del Mirandolano: vengono infatti rilevate, da una parte, l’assoluta preminenza (o meglio, l’eccessivo risalto) che gli studiosi del nostro secolo hanno dato alle opere filosofiche e speculative di Giovanni Pico, e in special modo alla tanto celebrata Oratio de hominis dignitate, interpretata come una sorta di “manifesto” del Rinascimento, a discapito delle epistole e degli scritti religiosi e spirituali, sui quali poggiò invece la vera fortuna europea di Pico nel Cinquecento, e dall’altra, la straordinaria proliferazione nel Novecento di saggi critico-teorici sugli scritti del Conte, a fronte di una desolante carenza di edizioni moderne, criticamente affidabili, e di studi filologico-eruditi.
Lingua: ItalianoPag. 257-65
Etichette: Giovanni Pico della Mirandola, Quattrocento, Cinquecento,
Titolo articolo: Machiavelli molestato? (In difesa di ser Paolo Sassi)
L’Autore mostra l’assoluta infondatezza della tesi sostenuta dallo storico statunitense William Connell dalle pagine del “Corriere della Sera”, circa le molestie sessuali che Niccolò Machiavelli avrebbe subìto durante l’adolescenza da parte del suo maestro di grammatica Paolo Sassi da Ronciglione. L’accusa di Connell, che si basa su un passo della celebre lettera di Francesco Vettori a Machiavelli del 16 gennaio 1515, non solo non trova alcun riscontro nell’epistola citata, dove il Vettori si riferisce genericamente al vizio della pederastia diffuso tra i precettori e gli umanisti e non alla personale esperienza del giovane Niccolò, ma non tiene neppure conto della stima di cui ser Paolo Sassi godeva presso i contemporanei, dai quali veniva definito uomo doctus ac religiosus.
Lingua: ItalianoPag. 266-71
Etichette: Paolo Sassi da Ronciglione, Niccolò Machiavelli, Quattrocento, Cinquecento,
Titolo articolo: Niccolò Machiavelli e Bartolomeo Scala: due schede
Tra i probabili antecedenti del celebre “epitaffio in vita” di Pier Soderini, composto dal Machiavelli, viene indicato il distico In Petrum Becanusum muribundum di Bartolomeo Scala, scritto anch’esso – con tutta probabilità – non in occasione della malattia del destinatario, ma in una circostanza che suscitò un forte risentimento da parte dell’autore. Gli elementi ricavabili dai testi non sono sufficienti a dimostrare la sicura dipendenza dell’epigramma machiavelliano dal distico dello Scala, ma alcune corrispondenze individuabili tra un’altra opera di Niccolò, l’Esortazione alla penitenza, e tre sermoni in volgare di Bartolomeo (tutti latinamente intitolati Exhortatio ad penitentiam), analogie finora sfuggite agli studiosi, sembrerebbero confermare l’ipotesi della diretta conoscenza da parte del Machiavelli della produzione letteraria ‘minore’ del segretario della prima cancelleria della repubblica fiorentina.
Lingua: ItalianoPag. 272-79
Etichette: Niccolò Machiavelli, Bartolomeo Scala, Sermoni, Epitaffi, Quattrocento, Cinquecento,
Titolo articolo: Canetoli o Canneschi? Una sciarada machiavelliana (nota a ‘Principe’, XIX 16, e ‘Istorie fiorentine’, VI 9)
Attraverso l’individuazione di alcune fonti storiche contemporanee al Machiavelli (in particolare Giovanni Simonetta e Andrea di Antonio Cambini), rievocanti l’omicidio di Annibale Bentivoglio da parte della famiglia Canetoli (o Caneduli), l’Autrice dimostra la correttezza della forma “Canneschi” utilizzata dal Segretario, sia nel Principe che nei Discorsi, per indicare i mandanti di tale efferato delitto. Il sostantivo indica infatti non la famiglia, ma la consorteria politica avversa ai Bentivoglio, il clan di cui i Canetoli erano i principali esponenti. Se è difficile ipotizzare una lettura da parte del Machiavelli dell’opera storica del Simonetta, data la sua limitatissima circolazione, assai probabile è invece la diretta conoscenza del volgarizzamento delle Decades di Flavio Biondo (1491) condotto dal Cambini, mercante e banchiere fiorentino strettamente legato a Lorenzo de’ Medici. Oltre a dimostrare l’attestazione del termine “Canneschi” al tempo del Machiavelli, il saggio aggiunge così un nuovo dettaglio sulla questione – ancora aperta – della formazione culturale del Segretario.
Lingua: ItalianoPag. 280-98
Etichette: Niccolò Machiavelli, Trattatistica politica, Quattrocento, Cinquecento,