Il lettore di provincia | 2004 | N. 119-120

Il saggio di Mario Fresa ricostruisce il profilo biografico dell’inquieto poeta Gabriele Rossetti nonché la storia redazionale del suo salterio “Il Tempo, ovvero Dio e l’Uomo” (Londra, 1843), rendendo al contempo nota l’individuazione di un manoscritto autografo e riportandone il salmo V tratto dalla prima salmodia.

Il denso saggio si propone un confronto fra Leopardi e Giuseppe Tomasi di Lampedusa al fine di individuare tratti comuni o discordi nei loro rispettivi profili culturali ed ideologici. In undici agili paragrafetti Giuseppe Nencioni ricostruisce anzitutto le interpretazioni che la critica ha dato dei due autori, di cui è intenzionato a dimostrare il comune credo nell’esistenza di una remota e perduta ‘età dell’oro’ cui far risalire la felicità umana. Se per Leopardi questa era da collocare nello stato di natura e nel mondo classico (felicità collettiva) come nella fanciullezza e nell’ignoranza (felicità individuale), per Tomasi di Lampedusa l’età dell’oro coincide con il potere dell’aristocrazia. La constatazione della sua perdita è presente in entrambi gli autori, così come la sensazione di vivere in un ‘mondo alla rovescia’, in cui la vita equivale al ‘viaggio schifoso’ di un zoppo in cui non v’è altro che ‘dolore e noia’. Rilevata la comune indifferenza per le inutili religione e politica, sia Leopardi che Tomasi coltivano l’esigenza umana di ‘narcotiche’ illusioni ed insieme di una riconciliazione con l’umanità in generale, ben evidente ne “La Ginestra” come nella scena del ballo ne “Il Gattopardo”, pur lasciando predominare nelle rispettive ideologie ed opere il cupo ed angoscioso senso della desiderabilità della morte.

La necessità di ‘saper vedere’ cogliendo nel flusso delle percezioni i ‘quadri della Vita’ è alla base della riflessione di Giorgio Burrini in margine alla lettura del dannunziano “Il piacere” di cui, mediante una puntuale esibizione di significativi brani, vengono messi in evidenza alcuni basilari presupposti ideologici, quali il valore dell’arte e il senso della bellezza, nonché le peculiarità stilistico-narrative della impareggiabile scrittura ‘pittorica’ del D’Annunzio.

La curatrice Dora Bienaimé offre la versione integrale in italiano del “Discours aux Welches”(1764) di Voltaire, anteponendovi una breve presentazione sull’autore e sul significato del ‘pamphlet’ che contesta il primato della cosiddetta ‘civilisation Francaise’.

L’articolo di Monica Longobardi focalizza l’ultimo nato della ‘genealogia degli Introvabili’, “Mirabilia. Catalogo ragionato dei libri introvabili” di Albani e Della Bella (2003) che dimostra derivare in qualche modo da una costola di “Forse Queneau. Enciclopedia delle scienze anomale” (1999), di cui condivide anzitutto paradigma e fonti. Ne sottolinea in particolare le suggestioni ‘patafisiche’, gli ‘oggetti introvabili’ in esso elencati nonché altre categorie, come gli oulipiani e surrealisti ‘proverbi perversi’ e le ‘locutions introuvables’.

Il saggio indaga l’attività poetica di Katherine Mansfield, secondaria rispetto all’impegno come narratrice e portata avanti a partire dal 1909 senza troppe pretese formali ma con esiti ugualmente ricchi e sensibili. L’autrice dello studio, Marcella Corsi, dimostra in particolare l’entità degli interventi correttivi effettuati sui testi della Mansfield dal suo editore nonché marito John Middleton Murry mediante una puntuale esibizione di vari componimenti.

Il saggio ricostruisce uno dei leit-motiv che attraversano la produzione narrativa di Virginia Woolf, la figura della regina Elisabetta I, per la quale la scrittrice mostrò di volersi staccare palesemente dal canone biografico tradizionale codificato al maschile, scorgendo nella sovrana l’emblema del self-fashioning, del self-possession, di colei che riesce a costruire se stessa. Già in “The Girlhood of Queen Elizabeth” (1909) la Woolf mette in risalto la solitudine della principessa in un mondo maschile, ma al tempo stesso anche la sua eccezionalità e il suo autocontrollo, mentre in “Reading” (1919) ne fa una ‘icona transgender’. Fondamentale la presenza di Elisabetta in “Orlando” (1928) ove -come il saggio sottolinea- vengono evidenziati sia particolari psicologici che corporei e simbolici della sovrana (l’imperiosità, l’autodisciplina, il colore degli occhi, le mani, i gioielli).

Andrea Righi si occupa della scrittrice americana Grace Paley, esponente della ‘ethnic literature’ e considerata, a livello italiano, insieme a Raymond Carver, un’antecendente del successo del ‘post-minimalismo’. Lo studioso ne analizza nello specifico il racconto “The Immigrant Story”, testo dialogico impostato su un conflitto familiare ruotante intorno ad una ‘terrible thing’, ad un non-detto, il cui ‘happy ending’ è da intendersi come escamotage post-moderno sotto cui si cela in realtà un ‘open ending’ e una forte dose di autoreferenzialità. La tecnica dell’interpellazione coinvolge il lettore nella trama generandovi un ‘andamento ricorsivo’.

Mediante un continuo rimando all’originale tragedia shakespeariana, la Sarti-Evans analizza il romanzo d’esordio di Mike Jonhson, “Lear” (1986),opera a metà strada tra la ‘black comedy’, il romanzo gotico, il ‘magic realism’ e la tragedia. Passandone in rassegna i motivi (il sentimento del terrore, della ‘nothingness’, del vuoto), i toni crudi, macabri ma anche lirici, i protagonisti-attori che si identificano con i personaggi che interpretano sulla scena, la basilare dicotomia cecità morale-visione spirituale, l’autrice mette in luce le peculiarità di questo romanzo finalizzato alla raffigurazione di un microcosmo umano.

John Butcher si interessa al Rea pre-Spaccanapoli (1947) di cui rende noti i primi scritti giornalistici apparsi su “Il popolo fascista”. Nello specifico lo studioso palesa la metodologia con cui è approdato, mediante alcune ricerche incrociate, all’individuazione della prima pubblicazione di Domenico Rea, un breve scritto non narrativo ma di critica letteraria, l’ermetica “Prefazione al poeta” (che esibisce integralmente) alla silloge “In cammino” di Primo Novale (Angelo Iovino), il francescano grazie al quale ebbe modo in gioventù di avere accesso alla biblioteca conventuale di Nocera.

L’articolo, di argomento antropologico, esamina la reciproca attinenza e derivazione di alcuni miti di divinità caratterizzate dal silenzio e di rituali connessi alle eclissi solari e ai solstizi, dalla Diva Angeriona allo scandinavo dio Vidarr detto l’Asi silenzioso, alla cultura vedica con il sacerdote Atri e con i sacrificatori Angiras sino alla giapponese dea-sole Amaterasu.

Il saggio propone una lettura degli ultimi due lavori di Franco Cassano, noto per il suo ‘pensiero meridiano’, autore di sinistra, avverso alla modernità, alla globalizzazione, al pensiero unico. Nel primo testo, “Modernizzare stanca. Perdere tempo, guadagnare tempo”, per Giuliani l’autore prende di mira il mito della modernità, il dogma della velocità, elogia la lentezza, le piccole cose, il gusto della provincia, auspica un ritrovato entusiasmo in politica, affronta il tema del processo europeo e del ruolo che il Meridione dovrà svolvervi. Diversa ma pur complementare, la seconda pubblicazione, “Oltre il nulla. Studio su Giacomo Leopardi”, autore del quale Cassano mette in luce l’attenzione posta alle civiltà meridionali.

Testo in prosa.

Il godibile articolo di Paolo Cherchi si configura come una recensione-presentazione dell’ultimo romanzo di Roberto Pazzi (Milano, Frassinelli, 2004). Rileggendo la storia del protagonista Enrico Magnoni, magnate delle reti televisive che intraprende un rigoroso percorso ascetico conventuale sino a diventare frate Agostino, Cherchi rileva l’importanza conferita alla metafora della vista in questo romanzo-parabola ed insieme la volontà dell’autore di drammatizzarvi la vanità del mondo.