Giornale storico della letteratura italiana | 2015 | N. 638

L’A. si occupa della scrittura epistolare di Guittone D’Arezzo, primo esempio del genere nella letteratura in volgare italiano. Di carattere squisitamente dottrinale, secondo l’A. l’epistolario del frate toscano potrebbe avere influenzato la redazione di quello di Giovanni Colombini, fondatore della Congregazione dei Gesuati. Di tutt’altra natura, invece, l’epistolario umanistico, che nasceva in quel torno di anni grazie a Petrarca; difatti quello di Guittone non sarebbe affatto un autoritratto per lettera, ma una sintesi “di detti e regole memorabili in chiave tutta spirituale e cristiana” (p. 169).

Pubblicazione della prima parte di un lungo saggio incentrato soprattutto sull’esame di quattro madrigali (52-54-121-106) dei “Rerum vulgarium fragmenta”, messi in rapporto intratestuale ed extratestuale, ovvero considerati sia in relazione alla struttura macrotestuale del “Canzoniere” che a fonti esterne ad esso come la “Commedia” o altre opere latine(ad esempio di Svetonio e Ovidio). Peculiari figure di lettere sono inoltre individuate nei sonetti 5 e 25.

Ricordo di Ezio Raimondi, scomparso il 18 marzo 2014. L’A. traccia un profilo dell’uomo e dello studioso, evidenziandone la pluralità degli interessi, la profondità e innovatività dei risultati esegetici raggiunti, ma soprattutto l’equilibrio dell’uomo ‘di prospettive, non di appartenenza, vocato a tracciati plurimi e a una dialettica pluralistica’, che lo rendevano ‘estraneo a sintesi teleologiche e armoniche, conscio della natura indocile e mutevole del vissuto’ (p. 211).

Il trapianto di un’esperienza letteraria in una diversa area geografica e socio-politica implica necessariamente modifiche e aggiustamenti funzionali al nuovo contesto di riferimento. L’A. del saggio spiega in quali termini si sia rifunzionalizzata la lode alla donna nel passaggio della lirica trobadorica alla corte di Federico II. Il confronto fra un corpus di liriche di area francese e quello di appartenenza alla scuola siciliana, consente di affermare come nella produzione dei poeti attivi alla corte federiciana si riduca lo spazio dedicato all’apprezzamento dei tratti caratteriali o comportamentali dell’amata ma non quello riservato all’esaltazione delle sue doti fisiche.

L’A. del contributo pubblica e commenta l’ode latina di Diogo Pires (1517-1599) in morte di Marcantonio Flaminio, da lui rinvenuta in una miscellanea cinquecentesca di poesia neolatina della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Della lirica, edita anonima ma attribuibile con certezza a Pires e costituita da dieci strofe alcaiche, l’A. individua fonti e tematiche.

L’A. torna a riflettere sulla presenza di talune imprecisioni e mende nell’edizione dell’epistolario di Pietro Bembo curata da Ernesto Travi (P. Bembo, “Lettere”, a cura di E. Travi, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1987-1993, 4 voll.).