Giornale storico della letteratura italiana | 2005 | N. 597

L’ampia disamina di Francesco Bruni intorno alla notissima lirica “A Silvia” apporta alla critica leopardiana nuovi e fecondi spunti di riflessione. Lo studioso individua inizialmente le reminiscenze e le suggestioni letterarie di cui è intessuta la poesia (soffermandosi parimenti sul dialogo con la figura assente di Silvia), per proseguire quindi con l’esaminare alcune varianti dell’autografo napoletano della lirica al fine di precisarne meglio i significati e le modalità espressive. Particolarmente significativo il confronto istituito tra il personaggio femminile di Silvia e la protagonista dei “Promessi Sposi”, che ha lo scopo precipuo di evidenziare le diverse strategie espressive dovute alla differenza di genere letterario, oltre che alla personalità” (p. 31) di Leopardi e Manzoni. Alla luce delle considerazioni effettuate nel corso del saggio, Bruni conclude affermando come “nella creazione leopardiana la tradizione colta auscultata con larghezza di letture e attenzione finissima coincida con la resa realistica della quotidianità, come insomma la visione classica lungi dal filtrare e falsare o annullare la rappresentazione dell’esperienza vissuta, interiore ed esterna, rafforzi la resa della modesta, vera e umanamente intensa vita di Recanati: come solo è possibile a chi nell’espressione artistica persegua la ricerca di un significato” (pp. 40-41).

L’A. interpreta secondo un’inedita chiave di lettura i quattordici sonetti di argomento politico e civile del cardinale lucchese Giovanni Guidiccioni, che introducono la silloge “Rime d’amore e di religione” e sono stati scritti tra il 1526 ed il 1530. Contrariamente ai giudizi critici correnti l’A. non individua in Guidiccioni uno stanco petrarchista mosso da un’insincera passione politica, ma lo accredita come un poeta dotato di una particolare originalità ed animato da una profonda nonché autentica passione civile, secondo quanto dimostrato soprattutto dal sonetto IV sul sacco di Roma avvenuto nel 1527. In esso il cardinale lucchese apostrofa Francesco Maria Della Rovere ad intervenire militarmente contro i Lanzichenecchi mostrando, rispetto ai poeti coevi, una “straordinaria capacità di lettura degli eventi” (p. 59), e conferendo alla sua poesia non il carattere di un semplice “omaggio alla sede papale” (p. 66), ma un più importante e significativo intento parenetico, finalizzato a risvegliare “una coscienza civile che languiva ormai da anni” (p. 65).

Stefano Giovannuzzi ricostruisce l’iter redazionale del poemetto di Amelia Rosselli “La libellula”, addentrandosi nella difficile questione della datazione delle liriche della poetessa genovese, datazione complicata in questo specifico caso da “un esercizio di autofilologia” che – osserva a ragione l’A. – “lascia perplessi” (p. 73).

L’A. recensisce con grande accuratezza le due edizioni delle “Rime” di Giovanni Della Casa approntate recentemente da Giuliano Tanturli (Parma, Fondazione Pietro Bembo, Ugo Guanda Editore, 2001) e da Stefano Carrai (Torino, Einaudi, 2003).

Renzo Rabboni informa sul contenuto delle relazioni tenute il 29 ottobre 2003 presso il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Padova in occasione della commemorazione di Marco Pecoraro a dieci anni dalla scomparsa. Molti gli studiosi autorevoli che hanno voluto degnamente commemorare l’illustre studioso, da Mario Pazzaglia, Carlo Calcaterra Manlio Pastore Stocchi, Cesare de Michelis, Vittore Branca, Giorgio Pullini, Giuseppe Zuccalà, Armando Balduino a Maria Luisa Doglio, Ginetta Auzzas, Donatella Rasi, Andrea Del Ben, Claudio Griggio, Francesco Piovan e Guido Baldassarri.