Giornale storico della letteratura italiana | 2002 | N. 588

Arnaldo Di Benedetto offre una suggestiva disamina dell’attività di critico letterario svolta da Benedetto Croce, evidenziando le peculiarità del suo metodo di indagine e facendo chiarezza su alcuni luoghi comuni che lo riguardano. Tra essi, quello secondo cui il filosofo napoletano si sarebbe avvicinato alla critica letteraria solo a seguito di una carriera iniziata da “puro erudito” e proseguita come filosofo, o quello che vorrebbe decisiva per la sua iniziazione alla filosofia la frequentazione di Giovanni Gentile. Sulla scorta di Fubini Di Benedetto sottolinea, altresì, la necessità di non ricercare Croce critico e storico della letteratura solo nel saggi critici propriamente detti, ma anche nelle sue “Storie” (d’Europa, d’Italia, del Regno di Napoli, dell’età barocca) e negli stessi scritti di erudizione.

Pier Vincenzo Mengaldo mette a fuoco alcune costanti della poesia di Sergio Solmi, svolgendo un’analisi dei suoi caratteri stilistici più marcati. L’impostazione intellettuale e saggistica della lirica solmiana, già evidenziata in sede critica, viene confermata dallo studioso sulla base di significativi riscontri testuali relativi ai fenomeni dello stile.

Mario Marti recensisce la “monumentale” edizione critica delle “Rime” di Dante Alighieri curata da Domenico De Robertis, opera ponderosa in tre grossi volumi, divisi in cinque tomi, pubblicata nella primavera del 2002 presso l’editore fiorentino “Le Lettere”.

Nel suo densissimo contributo Valeria Mouchet si occupa di rinvenire e definire la tipologia e le funzioni degli animali nell’opera narrativa di Boccaccio, facendo segnatamente riferimento al “Filocolo” ed al “Decameron”. Evidenziando la notevole competenza zoologica dello scrittore, Mouchet assevera come l’analisi sul mondo degli animali in Boccaccio sia oltremodo ricca di stimoli. “Oltre a fornirci indicazioni interessanti circa la rilevanza che essi avevano nell’immaginario e nella vita quotidiana di un uomo medievale” – precisa la studiosa – essa ci offrirebbe anche “alcune preziose informazioni sulla cultura dell’autore e sul suo metodo di lavoro, confermando il diverso tessuto retorico e stilistico delle sue opere e il differente rapporto che egli sembra instaurare con le fonti lungo il suo percorso letterario”.

In attesa di fornirci un profilo più ‘sicuro’ di Giovanni Di Strassoldo (1544-1610), frutto dell’esplorazione sistematica di documenti e testimonianze ancora in gran parte inedite o non sufficientemente studiate, Claudio Griggio si propone in questo saggio di “rispondere alla domanda che viene naturale porgersi per una personalità generalmente nota per le sue capacità militari”: se, cioè, Giovanni di Strassoldo fu anche ‘uomo di lettere’. Dopo aver accennato alla sua formazione culturale, l’autore del contributo ricorda alcune delle liriche da lui scritte, tra le quali un poemetto latino in esametri e pentametri sull’impresa di Lepanto di Filippo II, due poesie in morte di Tasso, una sui dodici segni celesti, una per l’Aurora, un sonetto a Giovan Battista Marino ed un altro incluso in una sillogetta di “Rime di diversi Autori” del letterato vicentino Giovambattista Battista Gorgo (conservato nel manoscritto Marciano Italiano IX 104), di cui viene fornita l’intera trascrizione. Secondo l’autore dello studio quest’ultima lirica rivelerebbe uno Strassoldo “poeta sensibile e colloquiale nei toni”, rappresentando uno dei risultati più felici della sua vena poetica di “semplice facitore di versi, incline ai modi e alle movenze della lirica manieristica e prebarocca”. In appendice al saggio viene data la trascrizione della minuta autografa di un’epistola latina inviata da Giovanni Di Strassoldo a Filippo II edita dal figlio Giulio.

Nel breve contributo viene pubblicata e commentata una lettera, pressoché sconosciuta, inviata da Benedetto Croce allo studioso bulgaro naturalizzato americano Artine Artinian nel settembre del 1938. Come osserva l’autore del saggio, la missiva consente di “completare” il quadro del già favorevole giudizio crociano su Maupassant, essendo stata scritta dal noto critico in risposta ad Artinian che gli chiedeva di esprimergli un sintetico giudizio sull’opera dello scrittore francese. Nella seconda metà degli anni Trenta, infatti, Artinian lavorava ad una tesi di Dottorato alla Columbia University sulla fortuna critica di Maupassant, lavoro per il quale consultò più di un centinaio di letterati dell’epoca, tra i quali, per l’appunto, lo stesso Croce.

Angelo Fabrizi addita talune specularità rinvenute nella lettura dei testi di tre coppie di scrittori. Più o meno volontarie, le somiglianze riscontrate dallo studioso riguardano il Petrarca della canzone “Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno” e il Livio di “Ab urbe condita” (IV, 2, 5; XXVIII, 12, 3-4; XXX, 35, 7); l’Alfieri della “Vita” (IV, 2) e Tommmaso Stigliani della lettera “Al signor cavalier Marini” del giugno 1619; il Manzoni del “Cinque Maggio” ed il Tasso del dialogo “Il Ghirlinzone overo l’epitafio”.

Breve commemorazione del noto critico Luigi Baldacci a firma di Pier Vincenzo Mengaldo.