Forum Italicum | 2008 | N. 2

Il saggio prende in esame l’ipotesi avanzata dal musicologo Guido Salvetti secondo la quale si potrebbe interpretare l’episodio (“Purgatorio”, II, vv. 76-117) dell’incontro di Dante con Casella – musicista amico di Dante che si ispirava allo stile trobadorico – come l’intento del poeta di far risaltare la ‘dolcezza’ quale elemento caratterizzante del canto in volgare italico, ovvero la novità rispetto al suo modello trobadorico che era penetrato in Italia.
Nonostante il pellegrino Dante si trovi ormai all’ingresso del posto di espiazione delle colpe di cui si è macchiato sulla terra, luogo di peccato, egli non se ne è ancora distaccato del tutto. Per esprimere, in maniera efficace, questo richiamo nostalgico, Dante si serve di una canzone d’amore e ne sottolinea ripetutamente il potere ipnotico della ‘dolce’ musica. L’ “amoroso canto” intonato da Casella è un canto profano, quindi, estraneo al regno della purificazione dell’anima non essendo in lode di Dio. Egli canta da solo, come per esprimere l’attaccamento di ogni singola anima alla propria vita terrena, fatta di desideri ‘particolari’, individuali ed unici. Egli canta le passioni umane che ogni singola anima filtra, rivive e personalizza nei propri ricordi.

La studiosa intende recuperare l’universo sepolto della realtà interiore di Dino Campana attraverso lo studio delle immagini nella poesia e il collegamento di queste sia ad alcuni eventi biografici che alla malattia mentale del poeta. Il saggio si sofferma anche sul rapporto del poeta con la madre nell’intento di far emergere i legami tra la parola poetica, l’esperienza di vita e l’esperienza ontologica della psiche. Il rapporto di Campana con la madre, trascurato dalla critica campaniana, definisce in maniera fondamentale la relazione del poeta con il mondo e determina il significato e la necessità della scrittura.
In particolare la studiosa analizza alcuni testi di Campana, quali documenti relativi agli internamenti in manicomio e lettere, che rivelano il quadro familiare e sociale della vita del poeta.

Il saggio analizza la rappresentazione cinematografica dell’isteria femminile nel film “Malombra” (1917) di Carmine Gallone tratto dal romanzo omonimo di Antonio Fogazzaro. In particolare la studiosa prende in esame l’influenza dei temi dell’isteria femminile, del modello artistico e culturale della passività imposto in quel periodo alle donne e, quindi, anche alle attrici e dello stile pittorico di recitazione. Attraverso un’analisi approfondita di questi tre aspetti la studiosa evidenzia come le concezioni ‘fin de siècle’ culturali, scientifiche e artistiche della donna si fondono nella figura della diva Lyda Borelli, condizionandone la tecnica interpretativa ed il ruolo nel primo cinema italiano. Per Ramsey-Portolano perfino una diva di grande spessore e personalità come la Borelli aderisce alla concezione pseudo-scientifica e popolare della donna come fragile, malata e isterica.

Il saggio di Elena Past prende in esame due celebri film italiani del Novecento: “Ossessione” (1943) di Luchino Visconti e “Profondo rosso” (1975) di Dario Argento. Nel saggio la studiosa focalizza la sua attenzione sull’attrice Clara Calamai, che in entrambi i film interpreta la protagonista vittima di una morte violenta: Giovanna in “Ossessione” e Marta in “Profondo rosso”. Pertanto, oggetto di indagine è il ruolo di questa ‘donna delinquente’ e la relazione tra i due film che si collocano in due momenti diversi nella storia del cinema italiano.

L’indagine di Luca Pocci intende dimostrare come nella narrativa di Giuseppe Culicchia la città costituisca non uno sfondo diegetico, ma uno dei due poli di un rapporto – il rapporto fra il soggetto e, appunto, la città – a cui lo scrittore torinese riserva il trattamento e la rilevanza che spettano ad un tema primario. Il saggio di Pocci si concentra su “Tutti giù per terra” (1994), “Bla bla bla” (1997) e “Ambarabà” (2000), romanzi che nel loro insieme formano una trilogia sull’esperienza e sulla percezione della città nella società postmoderna. Lo studioso evidenzia il mutare del focus tematico all’interno della trilogia: dal binomio città/libertà di “Tutti giù per terra” e “Bla bla bla” si passa a quello di città/sicurezza di “Ambarabà”; con questo mutamento tematico Culicchia rappresenta un desiderio diffuso nella città globale contemporanea, il desiderio di sicurezza, ovvero il desiderio di difesa dall’Altro.

Il saggio è dedicato a due film di Francesco Rosi: “Cristo si è fermato a Eboli” (1979) e “Cronaca di una morte annunciata” (1987). Attraverso l’analisi della funzione della memoria nei due film la studiosa riflette sull’identità di Rosi come regista, che negli ultimi è passato dal cinema al teatro con la regia di due commedie di Eduardo De Filippo: “Napoli milionaria” (2002) e “Le voci di dentro” (2006). La scelta del teatro di Eduardo, espressione di valori quali la solidarietà e l’onesta, è la risposta di Rosi alla sete smodata di guadagnare soldi in tutte le maniere e a tutti i costi che caratterizza la postmodernità.

Lo studio di Antonio Vitti offre una definizione del cinema neorealista per poi soffermarsi sul regista Giuseppe De Santis, prendendo in esame il suo singolare ‘uso’ degli attori.

Oggetto di indagine del saggio di Vera Horn è il racconto giallo di Tommaso Landolfi “A rotoli”, della raccolta “Racconti impossibili” (1966), in cui lo schema del poliziesco classico viene meno per l’imprevedibilità di un dettaglio motivato da un angosciante dubbio che muove il protagonista. Il giallo di Landolfi rompe con gli stilemi del genere nell’affidare al caso, all’incertezza e all’errore le sorti di un racconto tradizionalmente basato sulla logica, sulla certezza e sulla verità. In questo modo Landolfi dissacra un modello esemplare e afferma con ciò l’impossibilità del racconto stesso.

Lo studio di Carlo Testa è dedicato all’analisi del film “La tigre e la neve” con la sceneggiatura di Vincenzo Cerami e Roberto Benigni. L’attenzione dello studio è focalizzata sul singolare rapporto che nel film si instaura tra comicità e poesia.

Al romanzo “Underworld” (1998) di Don DeLillo è dedicato l’intervento di Guido Laino. Lo studio si sofferma ad indagare la ‘lontananza’ del protagonista, Nick Shay, evidente già nella sua narrazione in prima persona, che appare come una testimonianza neutra, del tutto simile, nel tono impersonale, al racconto del narratore onnisciente di altri capitoli di “Underworld”. L’io narrante di Shay mostra una separazione mai colmata dal mondo e da se stesso, il suo appare uno sguardo velato che sembra incapace di generare una versione personale di ciò che vede.

Sono pubblicati i “32 pensieri sulla natura”, uno scritto filosofico inedito di Carlo Bernari. La pubblicazione dello scritto è preceduta da una nota informativa del figlio dell’autore, Enrico Bernard.

Ampia recensione del volume intitolato “The Voices of Carlo Levi” (Lang, 2007), a cura di Joseph Farrel.