Ermeneutica letteraria | 2013 | N. 9

In questa rubrica interamente dedicata allo studioso Filippo Secchieri, prematuramente scomparso, si raccolgono gli atti del Seminario tenutosi nel 2012 all’Università “Ca’ Foscari” di Venezia, aventi per oggetto l’attività critica e poetica di Secchieri, di cui si sottolineano qui i principali nuclei qualificanti.

Commentando in chiave dialettica il volume postumo di Filippo Secchieri “Frammenti per l’interpretazione”, l’autrice dell’articolo sottolinea la necessità, da parte del critico, di auscultare il testo letterario prestando attenzione alla sua ricchezza polisemica e, conseguentemente, ponendo l’accento sulla situazione ermeneutica del lettore.

La studiosa propone un confronto fra due testi di Secchieri: “Interpretare la finzione” del 1997 e il volume del 2011 “Configurazioni”. Ne deriva, pur nell’omogeneità teorico-critica – un’ermeneutica intesa come inesausta interrogazione testuale scevra da pregiudizi limitanti – una diversa articolazione del pensiero, che nell’ultimo volume si fa più frammentaria, accogliendo altresì un linguaggio fortemente figurale.

Uno dei leitmotiv dell’itinerario critico di Secchieri – come si evince dall’analisi della studiosa – è la frattura fra vita e scrittura, realtà empirica e rappresentazione. Nonostante ciò gli studi da lui dedicati a Grazia Deledda, Anna Maria Ortese e Alda Merini – su cui si sofferma l’autrice dell’articolo – sembrano ribaltare questo iato, ponendo l’accento sulla trasfigurazione letteraria dei contenuti ‘patemici’, ossia le passioni e le pulsioni individuali.

In questo articolo si analizzano le riflessioni teoriche di Secchieri sul tema dell’ermeneutica letteraria, attraverso il confronto critico con le teorie di Gadamer, centrate sul modello dialogico, e di Derrida, fondate sul modello decostruttivista. Viene poi affrontato il rapporto fra soggettività interpretante e alterità.

In questa lettura del volume di Secchieri “Configurazioni. Frammenti per l’interpretazione”, si ribadisce il paradigma critico dell’autore, in costante auscultazione del testo, impegnato con esso in un vero e proprio ‘corpo a corpo’; un’interrogazione testuale svincolata altresì dalla convenzionalità di certo linguaggio critico.

Dietro la riflessione critica di Filippo Secchieri si cela – come qui si dimostra – un’urgenza poetica tutta da scoprire. In particolare, i versi di “Scintillazione” – antologia che raccoglie i testi dell’autore dal 1958 al 2011 – rivelano agli occhi dello studioso significative ascendenze letterarie.

Oggetto dell’articolo è la raccolta poetica di Secchieri “Scintillazioni”, uscita postuma nel 2011. L’analisi dell’intertesto, che ne rivela le influenze letterarie, mostra la felice osmosi fra interessi teorici e intenti lirici, ma anche la vicendevole autonomia di critica letteraria e poesia.

Se il rapporto vita-opera e il relativo concetto di ‘erlebnis’ attraversano l’ermeneutica letteraria da Dilthey a Heidegger, la poesia di Bassani consente l’applicazione di questa proposta metodologica – come sottolinea lo studioso – ponendosi come esperienza autonoma e insieme laboratorio tematico e formale dai successivi sviluppi narrativi. A connotarla è infatti lo spiccato autobiografismo, legato al tema della memoria, della città e dell’ebraismo.

Commentando il volume di Roberta Dreon “Fuori dalla torre d’avorio. L’estetica inclusiva di John Dewey oggi”, il critico sottolinea due principi chiave dell’illustre pensatore, come la ‘non separatezza dell’estetico’ e l”etica pragmatica’. Da qui lo studioso avanza un confronto critico con la prassi filologico-critica di Gianfranco Contini, la cui ‘istanza pragmatico-pedagogica’ risulta altresì affine alle toerie di Gadamer e Ricoeur.

Caratteristica precipua della poesia moderna – dal primo Romanticismo al Postmoderno – è per l’autore del saggio la rivendicazione di un’autonomia concettuale senza precedenti, nella progressiva frattura fra arte e vita e nell’inevitabile consapevolezza della natura mitopoietica dell’espressione lirica.

Oggetto dell’articolo è il rapporto fra scrittura e peregrinazione nell’opera di Robert Walser e Winfried Sebald, autori cronologicamente distanti ma accomunati – come qui si dimostra – dal legame simbolico fra la loro prosa e il camminare, quest’ultimo inteso come ricerca di una verità che passa per il costante decentramento dell’io e la predilezione per micro e macrostorie, utili ad offrire al lettore nuove piste ermeneutiche.

In questo saggio si delinea un puntuale profilo del pensiero critico di Franco Brioschi, di cui si evidenziano il retroterra teorico e le vitali proposte metodologiche, all’insegna del binomio ‘nominalismo-referenzialità’ e dell’attenzione costante per la responsabilità dell’interprete, nel quadro del più recente dibattito ermeneutico.

A giudizio dell’autrice certa critica novecentesca – come quella debenedettiana su Pascoli – peccherebbe di un ‘pregiudizio realistico’ che la porta a valutare come frammentari quei testi poetici all’insegna di un linguaggio analogico – vedi appunto le liriche pascoliane – condizionandone così l’interpretazione.

Pur rifiutando la teoria della letteratura, Jorge Luis Borges ha elaborato una sorta di teoria nella letteratura; è questa la tesi del recente libro di Anna Guzzi, qui analizzato, di cui si indagano le proposte critiche e al contempo si definiscono ulteriori sviluppi (anche opposti) a livello ermeneutico.

Al centro del recente volume di Marialuigia Sipione “Beppe Fenoglio e la Bibbia. Il culto rigoroso della libertà”, è l’intimo nesso fra parola letteraria e parola biblica. Commentando la monografia, l’autore dell’articolo ne valorizza il duplice approccio, sincronico e diacronico: il primo teso ad evidenziare il ‘sillabario biblico’ nell’opera di Fenoglio, il secondo a focalizzare gli interessi anglicistici, e dunque protestanti-puritani, dello scrittore piemontese.

Analisi del volume che raccoglie gli atti del
Convegno su “Gianfranco Contini vent’anni dopo. Il romanista, il contemporaneista”, tenutosi all’Università di Arcavacata di Rende il 14 e 16 aprile 2010. Un contributo che sottolinea – come qui si dimostra – l’ampiezza degli interessi critici continiani, l’originalità interpretativa e l’armonizzazione fra filologia e critica che ne fanno uno dei massimi esegeti del Novecento.

Oltre che un omaggio ad uno dei maestri dell’italianistica, i volumi in onore di Gianni Venturi rappresentano – come sostiene lo studioso – un tentativo di esplorare l’affascinante rapporto fra immagini e parole che percorre la letteratura italiana dalle origini alla contemporaneità.