Critica letteraria | 2010 | N. 3

Intento del saggio è di dimostrare i debiti di Dante nei confronti di Pietro da Eboli, chierico e ‘magister’ della scuola medica salernitana, autoredel ‘liber ad honorem Augusti’. Tale influenza toccherebbe non soltanto la lingua e lo stile ma anche alcune tematiche centrali dell’opera dantesca.

Attraverso l’esame di due romanzi di Vittorio Imbriani, “Merope IV. Sogni e fantasie di Quattr’Asterischi” e “Dio ne scampi dagli Orsenigo”, il saggio si sofferma sul complesso rapporto tra autobiografia e narrazione con cui ironicamente gioca lo scrittore.

Se il “Canzoniere” di Saba può essere letto nel suo complesso come il romanzo di una vita, le liriche raccolte in “Ultime cose” costituiscono una tappa fondamentale di questo itinerario, una ‘sorta di consuntivo umano e morale’ dell’esistenza e dell’esercizio di scrittura del Triestino. Il saggio si sofferma sulla raccolta evidenziandone le implicazioni autobiografiche ed esistenziali.

Oltre a mettere in rilievo i rapporti di amicizia tra Eugenio Montale e Gianfranco Contini e la sollecita ‘partecipazione’ del critico, con le sue puntuali annotazioni, in corso d’opera, all’allestimento della raccolta ‘Le Occasioni’, il saggio si occupa di una variante della poesia ‘La casa dei doganieri’, non presa in considerazione da Contini nel saggio “Dagli Ossi alle Occasioni”.

Il saggio propone una disamina dell’opera inedita e postuma di Fortunato Seminara il quale, dopo la pubblicazione di quattro fortunati romanzi negli anni ’40-’50, e di altri sei volumi, variamente editi,di romanzi e racconti, lasciò un considerevole patrimonio di manoscritti e dattiloscritti oggi custoditi presso la Fondazione Culturale a lui dedicata nella natia Maropati.

Il romanzo “La giornata di uno scrutatore” si pone come osservatorio privilegiato della scrittura del ‘margine’, caratteristica di Italo Calvino, consistente non solo nella serie di discorsi che accompagnano le ristampe dei libri giovanili dello scrittore quanto nella traduzione di una vera e propria condizione esistenziale.

‘Humanitas’ da una parte e attenzione al moderno dall’altra costitutiscono per Salsano le polarità entro le quali si è esercitata l’attività critica e creativa di Mario Verdone di cui vengono esaminate le espressioni più significative.

L’articolo, prendendo in considerazione la lunga (circa un sessantennio: dagli anni Quaranta al Duemila) ma ancora pressoché inesplorata produzione giornalistica di Michele Prisco, si pone l’obittivo di indagare sul ruolo ricoperto – anche in rapporto alla letteratura – da quello che lo scrittore definì il suo “secondo mestiere”.

L’antologizzazione a cui è andata incontro l’opera di Bartolo Cattafi, anche a causa della sua ‘copiosità’, ha in qualche modo sacrificato la conoscenza della seconda produzione, che ha inizio con ‘L’aria secca del fuoco’ del 1972, in cui si assiste a un superamento dei precedenti modelli poetici a favore di Dante.

Il saggio, che prende in esame la Poesia Visiva, si fonda sulla rilettura del lavoro interpretativo del movimento condotto, sin dal 1968, dalla semiologa Rossana Apicella.