Allegoria | 2009 | N. 60

L’A. introduce il tema del fascicolo dedicato alla ‘narrativa e vita psichica’, sottolineando come l’obiettivo dei saggi raccolti sia quello di indagare l’effetto che le ricerche interdisciplinari sul racconto possono avere sui modi di leggere e intrepretare i testi.

Il contributo si propone di fissare i fondamenti di una teoria della narrativa e del teatro concepiti come letteratura ‘finzionale’, descrivendone i sintomi linguistici e grammaticali che distinguono categorialmente il racconto finzionale dall’enunciato di realtà. Tali sintomi (soprattutto l’uso dei verbi dei processi interiori alla terza persona, il discorso indiretto libero e la perdita di significato di passato del preterito narrativo) innescano un processo che provoca la scomparsa di un’origine-io reale e quindi del soggetto di enunciazione.

Il contributo, analizzando il racconto finzionale mettendolo in contrasto con quello storico, elabora e descrive tre criteri di ‘finzionalità’ all’interno dei confini della narratologia. Il primo criterio riguarda l’ipotesi di lavoro fondamentale che è alla base degli studi narratologici, ovvero la distinzione fra livelli di analisi (storia e discorso); il secondo criterio riguarda le situazioni narrative (voce e modo), mentre il terzo, anche se incentrato sul concetto di narratore – un elemento chiaramente narratologico – lo collega alla sua origine e al suo effetto extratestuale.

L’A. indaga i complessi legami tra la concezione che si ha dell’anima umana e come ci si rivolge con la scrittura a quell’anima per comunicarle quella concezione. I due casi scelti, per esemplificare l’opposizione di due stili diversi e concezioni diverse dell’anima umana, sono Platone e Proust.

L’A. si sofferma sul concetto di identità narrativa, definendola come combinazione dei due poli della permanenza e del cambiamento. Per far questo egli parte dall’identità del racconto come risulta dalla costruzione dell’intreccio per poi passare all’identità del personaggi della storia narrata e quindi all’identità dell’ipseità come si configura nell’atto della lettura.

Attraverso l’analisi di forma e contenuto, significanti e significati del racconto della storia di Gertrude, il contributo rivela la profonda modernità della narrazione manzoniana.

Partendo dal presupposto che il paradigma psicopatologico costituisce una chiave d’accesso privilegiata per indagare i confini estremi della riconfigurazione della temporalità nel romanzo, l’A. affronta il rapporto tra esperienza del tempo e costruzione dell’intrigo. L’analisi di alcuni brani esemplari tratti da romanzi moderni testimonia che, anche quando la narrazione della vita interiore mette in crisi l’intreccio, il romanzo elabora nuove forme di concordanza narrativa.

Il contributo si sofferma sull’analisi del concetto di ‘sé’. Il ‘sé’ è il prodotto della trasformazione di una creatura naturale che non può diventare l’esemplare culturale che è senza l’inventività implicita nell’evoluzione culturale. La cultura è dunque un processo emergente ‘sui generis’ inscritto nei limiti della biologia dell’Homo sapiens e contraddistinto dalla comparsa di forme uniche di significato e di senso.

Sull’analisi di alcune basi testuali il contributo ipotizza che “Commedia” o “Comedìa” non sia il titolo del poema dantesco, ma un segnale di stile o di genere. Tale premessa farebbe dunque pensare ad una mancata autenticità dell’Epistola a Cangrande, almeno nella sua forma attualmente nota.

Il contributo si sofferma sull’analisi del “Mastro-don Gesualdo” dimostrando come, diversamente da “I Malavoglia”, non solo l’assetto complessivo del romanzo assuma un carattere più frantumato, ma l’organizzazione stessa dei periodi sia resa singolare da un procedere interrotto e a scatti, che privilegia le forme sintattiche brevi. Lo studio del principio del ‘montaggio’ nel romanzo ottocentesco rivela dunque come tale artificio agisse in letteratura e nelle arti figurative molto prima che i teorici del cinema si impegnassero a descriverne le dinamiche di funzionamento.

Analisi critica del saggio di Charles Taylor “Radici dell’io. La costruzione dell’identità moderna”, pubblicato nel 1989 a dieci anni di distanza dell’altro famoso volume dello studioso dal titolo “Hegel e la società moderna”. “Radici dell’io” indaga le conseguenze dell’espressivismo, un concetto che, a partire dalla riflessione di Herder, rende manifesto il rapporto esistente tra la singolarità di culture nazionali o nature individuali e le modalità espressive che esse devono sviluppare per emergere e realizzarsi.