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Albertiana | 2022 | N. XXV (n.s. VII) – 2
Anno 2022 – N. XXV (n.s. VII) – 2
Numero monografico: Francesco Furlan, Umanesimo, identità e liberalismo: Silloge breve sull’origine (e la fine) della modernità
A cura di Nicoletta Rozza
Pag. 7
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Titolo articolo: Avvertenza
Il volume offre una ridotta serie di saggi che riflettono la non estemporanea riflessione dell’autore sull’origine, la natura, i caratteri e il significato della civiltà europea, e italica in ispecie, fiorita nel secondo millennio dell’era cristiana, soprattutto fra il Duecento e la cosiddetta Rivoluzione scientifica, e ora, nel progressivo riaffermarsi di un pensiero magico travestito da scienza, in procinto forse di spegnersi o di riavviarsi. Fra loro sottilmente ma intimamente legati, essi posson esser letti come dei frammenti fondamentali, per piú versi reciprocamente presupponentisi, d’una ricostruzione storica e filosofica per sua natura sempre in fieri dell’umano. Ricostruzione, da un lato, per opere e autori: da Gualtiero Map, Marco Polo o Dante a Italo Svevo e Borís Pasternàk passando, di là dalla pubblicistica politica, dalle Ricordanze familiari e dalla letteratura omiletica tre e quattrocentesca, per l’Alberti e il Machiavelli, ma senza dimenticare il Petrarca, il Boccaccio, il Bruni, Francesco Barbaro, Lorenzo Valla o il Campano, né Tommaso Moro, l’Ariosto, il Tasso, Giordano Bruno, il Montaigne o ancora il Cartesio. E ricostruzione altresí per aspetti, temi e problemi salienti o piú d’altri rilevanti e significativi in tale prospettiva: dall’utopia originaria d’una monarchia universale alla famiglia come imprescindibile fondamento dell’ordine umano laico, dalla progressiva scoperta dell’alterità insita nella diversità non meno di spazio e tempo che di culture e costumi, e rintracciabile persino nell’intima scissione del sentire individuale, al duraturo affrontarsi e confliggere di visioni recisamente antagonistiche del mondo, della natura e dell’uomo quali quelle riconducibili da un canto all’umanesimo lato sensu, e all’archetipo albertiano in primis, e dall’altro a un liberalismo dalle mire palesemente totalizzanti che nell’archetipo machiavelliano trova la piú probabile e consona delle proprie origini. Si tratta di visioni culturalmente e politicamente estrinsecantisi, da un lato, nella ricerca e nella definizione di un modus vivendi volto al conseguimento di un almeno relativo benessere sia individuale che collettivo, e perciò stesso altresí di un necessario contratto sociale fra dominanti e dominati; ed estrinsecantisi d’altra parte in un’inequivocabile volontà di rottura nei confronti d’ogni contrattualità sociale ipotizzabile e in un non meno palese intento d’asservimento cosí della società come della natura e del mondo – una volontà e un intento che il piú straordinario e riuscito lusus dell’Alberti, il Momus, ridicolizza e deride con felice caparbietà anticipando nel dipinto dell’ininterrotta serie di distruzioni da essi irragionevolmente provocate la catastrofe effettuale che gli esiti storici della cosiddetta «Realpolitik» han registrato.
Lingua: ItalianoPag. 9-10
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Titolo articolo: Vniversalis monarchia: L’utopia (gotica) delle Origini
Concepito nell’urgenza di una profonda passione escatologica, il Monarchia è a suo modo una lancinante implorazione affinché il sogno grandioso ma utopistico, e di un’utopia gotica piú che romana, di un’universale «respublica Christiana» si trasformi in realtà. Utopistico il discorso politico di Dante lo è anche per le sue valenze dichiaratamente teologiche. Ma la sua utopia è piú possente e originale di quella di un teologo qualsiasi: la costruzione dantesca può ben essere recisamente antistorica e assolutamente improbabile, ma è indiscutibilmente in un vibrante appello a una radicale rivoluzione dell’ordine umano, sociale non meno che politico ed etico, ch’essa si risolve.
Nell’Appendice [«Pro salvte veritatis» (Mon., III III 18): Sullo stravolgimento della ragione e lo smarrimento degli intellettuali (o d’alquanti): A proposito del Monarchia dantesco, pp. 31-62], prendendo le mosse dal riacceso dibattito intorno alla datazione del trattato e, dunque, alla sua concezione e al piú vero suo significato, l’autore vaglia ancora una volta la serie dei dati legatici dalla tradizione in ordine all’inciso «sicut in Paradiso Comedie iam dixi», alla paternità dell’opera e alle presunte glosse introdottesi nel testo in un imprecisato punto della tradizione. Con l’insussistenza d’ogni serio elemento a supporto di tali astratte ipotesi, l’attenta e spregiudicata disamina dall’autore condotta dimostra la palese impossibilità d’avvalersi di qualsivoglia ragionevole considerazione o dato per recare in dubbio l’autenticità dell’inciso succitato, che poggia su di un livello d’attestazione persino superiore a quello della paternità dantesca del Monarchia. Benché il caso discusso riveli in definitiva uno soltanto dei molteplici segni piú o meno recenti di un generale indebolimento delle facoltà di discernimento razionale che investe, ben oltre la filologia testuale, quasi ogni metodo d’indagine o principio d’analisi e di critica, l’autore esprime in fine con forza l’auspicio che la rinnovata disamina da lui offerta dei documenti e dei dati pervenutici contribuisca a riportare i termini del dibattito in questione entro i precisi confini dettati dai dati stessi, nel doveroso rispetto tanto di un metodo storico, esegetico ed ecdotico degno invero del nome, che dei presupposti fondamentali d’ogni analisi di ragione.
Lingua: ItalianoPag. 11-62
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Titolo articolo: La donna, la famiglia, l’amore
Il volume affronta poi per quadri successivi ma secondo prospettive convergenti testi diversamente noti di autori che soprattutto fra Tre e Quattrocento hanno dedicato alla donna, alla famiglia o all’amore una rilevante e non estemporanea attenzione. Il discorso trascorre sinteticamente dalla folta ma sostanzialmente omogenea letteratura ecclesiastica in materia agli scritti umanistici e alla memorialistica ad un tempo familiare e mercantile elaborata soprattutto dal ceto borghese toscano. Vengono altresì richiamati e, ove importi, ridiscussi temi e momenti chiave del dibattito storiografico ed esegetico contemporaneo.
Lingua: ItalianoPag. 63-118
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Titolo articolo: Momvs sev De homine: Hominvm moriæ improbabile encomivm
Dopo aver dimostrato che l’Alberti non pubblicò mai l’anomalo e grande romanzo ch’è l’indiscusso capolavoro del suo lusus, e che il titolo De principe della prima edizione a stampa dell’opera, piú tardi giustapposto al solo suo plausibile titolo dal Bartoli (Momo, overo Del principe), è certamente apocrifo e fuorviante nella veicolata sua valenza esegetica, l’autore mostra che il Momus tratta palesemente e soltanto de Homine, delle «ineptiæ» cioè di quegli «homunculi» et «mulierculæ» cui spesso e volentieri si riducono uomini e donne, del disordine ch’essi inducono e che gli dèi medesimi che si son dati ravvivano coll’insignificanza di azioni e giudizî loro.
Lingua: FrancesePag. 119-142
Etichette: Leon Battista Alberti,
Titolo articolo: Nel gran mare dell’ignoto: Rinascita e alterità
Partendo dall’emblematico caso della Comedía di Dante e dai precisi riscontri che la tradizione stessa di taluni scritti danteschi (la Monarchia) può in proposito fornire, e rinvenendo una significativa conferma e converso dell’uno e degli altri nel Libro medesimo di Marco Polo, l’autore evidenzia sinteticamente la sostanziale impossibilità di pensare l’altro da sé, e la conseguente impermeabilità al diverso della forma mentis medievale, che l’avvento della cultura e della filologia umanistica supererà nettamente non soltanto allargandone considerevolmente gli orizzonti, e dunque facendo proprî non meno la considerazione che lo studio dell’alterità fisisa e umana, spaziale e storica, ma altresì trovando nella correlata riflessione sul metodo una guida sicura per la navigazione nel gran mare dell’ignoto che le rivoluzionarie scoperte geografiche e poi cosmiche del tempo aprivano all’Europa moderna.
Lingua: ItalianoPag. 143-156
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Titolo articolo: Fra l’Alberti e il Machiavelli: Umanesimo e liberalismo
Sebbene nella secolare sua storia il confronto tra l’Alberti e il Machiavelli non abbia prodotto alcun attendibile raggiungimento, è certo che le visioni dell’uomo proprie all’uno e all’altro di essi nulla spartiscan fra loro: se all’archetipo albertiano può per piú versi ricondursi ogni forma caratterizzata dalla ricerca d’una contrattualità sociale reale fra dominanti e dominati, all’archetipo machiavelliano si legano viceversa manifestazioni storiche, culturali e politiche di un’inequivocabile volontà d’asservimento della natura e del mondo traducentesi, sul piano sociale, in una brama ineluttabile di rottura nei confronti d’ogni ragionevole o possibile contrattualità. Tutt’altro che alieno da considerazioni religiose, il Machiavelli è infatti soprattutto un oltranzista apologeta del potere il cui pensiero risulta contraddistinto non meno da un estremo eppur banalissimo cinismo, invero tanto criminale quanto poco effettuale, che da moralistici convincimenti antistorici: l’irresistibile fascino che la potenza in sé, e molto piú nel suo sprigionarsi, esercita su di lui fa sí ch’egli spenda ogni propria energia in un illimitato suo culto sfociante nello sforzo incessante di coglierne o fissarne i principî d’ogni possibile epifania. Di per sé incongruo e recisamente fuorviante, il tradizionale confronto tra la «virtú» da lui ricercata e quella invece ritratta dall’Alberti può allora bensí registrare il vitalismo d’entrambi gli autori, ma nella mistificatoria sua eterogenesi dei fini disconosce non meno l’afflato irrazionalistico machiavelliano e i presupposti immanentistici albertiani che l’imprescindibile loro contrario punto d’arrivo: l’imbarazzante Esortazione alla penitenza del Machiavelli e l’insanabile disordine delle cose umane e divine dall’Alberti dipinto nel Momus.
Lingua: ItalianoPag. 157-168
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Titolo articolo: INDICES Sylvie Melnik et Giovanni Zagni curantibus Laura Hausammann adiuvante
Lingua: Latino/Italiano
Pag. 169-193
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